Sono 582 pagine che aggiungendosi a quelle del primo romanzo della trilogia di Amitav Ghosh fanno più di 1000. Dal Mare di papaveri scende Il fiume dell’oppio (River of Smoke, 2011, trad. it. di A. Nadotti e N. Gobetti, Neri Pozza 2011). In realtà, questa è la seconda parte di un romanzo gigantesco, che è un romanzo storico molto particolare, perché è anche una narrazione del nostro presente: lo sfondo è quello delle Guerre dell’oppio e della globalizzazione ai suoi inizi ottocenteschi, quando la rete dei commerci e degli scambi internazionali configurava già un Mercato mondiale, con i suoi tremendi squilibri. India, Occidente, Cina. La scena degli eventi narrati è la città di Canton, con la sua piccola comunità di occidentali che vive nella propria enclave, una comunità di soli maschi. Come nel primo capitolo della trilogia, la struttura del romanzo è complessa, ricchissima di personaggi e caratteri. Nessuna semplificazione, estremo rigore nello studio di usanze, oggetti, abitudini, pratiche ed eventi. Alla marea dei papaveri e del loro prodotto fa da contraltare l’attività appassionata di due botanici affascinati dalla straordinaria ricchezza della flora e della floricultura cinesi. La camelia aurea che hanno visto dipinta e che ricercano in tutti i modi, è forse il simbolo di un Bene a cui gli umani sembrano preferire il Male. Alla fine si viene a scoprire che quella camelia nella realtà non esiste. Esiste solo nella rappresentazione. Che sia un grado superiore di esistenza?

Ecco, questa è la ragione del mio accesso a questo blog! Ho letto anche il libro precedente – “Un amre di Papaveri”, stesso editore -. Sono due libri acquistati pensando a una lettura lieve, se non leggera e invece mi sono ritrovata nel bel mezzo della grande Storia; poi ho anche individuato uno scenario che mi ricorda (con ovvie differenze) quello contemporaneo.
Anche oggi siamo nel mezzo di un cambiamento di cui mi pare di toccare – quasi fisicamente – alcuni elementi. Come una corrente densa e quasi irresistibile che ci trascina…
Penso che tutti i grandi romanzi storici (in senso lato) facciano percepire il senso di un essere trascinati, di un essere nella corrente.
In questo caso è il momento (o l’epoca) che stiamo attraversando – qui e ora – ad acuire questo sentimento. Inoltre è quel periodo, ma ancor di più “quei” luoghi, così lontani da noi, che acquisiscono un valore quasi metaforico (o un ammonimento?). Questa è la mia inaspettata impressione.
La maestria di Ghosh è nel far percepire quegli eventi e luoghi così differenti eppure così familiari.