Come meravigliarsi se il nichilismo relativistico attacca la sostanza stessa del tempo? “La vita umana si riduce a un istante non già perché sopprima e conservi in sé la durata, ma perché cade in balìa del nulla, e si ridesta alla coscienza della sua vanità di fronte alla cattiva infinità del tempo stesso” [Minima moralia, p. 195]. Grazie alla scienza moderna e alla tecnica, “nel ticchettìo fragoroso dell’orologio si percepisce, per così dire, lo scherno degli anni luce per la breve durata della nostra esistenza”[ibidem]. Dunque il trionfo del divenire, che in Occidente si costituisce come l’unica verità, porta all’annientamento del tempo: il triumphus temporis non può che essere già in se stesso la negazione della sostanzialità del tempo, e con essa la fine della parola.
Il fut un temps où les ombres
à leur place véritable
n’ obscurcissaient pas mes fables.
Mon coeur donnait sa lumière.
Mais maintenant le temps se désagrège
comme sous mille neiges;
plus je vais et je viens,
moins je suis sur de rien.
Le temps se désagrège, scrive Supervielle. Il tempo della tradizione è ormai radicalmente pervertito, oggi, in cui nelle società amministrate si forniscono solo verità amministrate. Questo, se ha ragione Luciano Baioni, è il significato del famoso racconto di Kafka Il messaggio dell’imperatore. [Kafka: letteratura ed ebraismo, Einaudi 1984, p.170] E forse il Prometheus è in tutta la narrativa del Novecento il luogo in cui la problematica tensione tra poesia e verità raggiunge un climax di enigmaticità. Gli enigmi amano la pietra. E Prometeo che si fonde con la roccia, e sparisce, per rimanere solo nella leggenda, dice forse “che la verità, anche se è irraggiungibile, è sicuramente presente in qualche luogo del mondo” [Ivi, p. 226].
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