L’assassinio di un neonato era una pratica consentita in quasi tutti gli Stati della Grecia, persino tra i colti e civili ateniesi, e ogni volta che la situazione economica dei genitori rendeva scomodo allevare il bambino, non veniva considerato vergognoso o biasimevole abbandonarlo alla fame, o alle bestie selvatiche … Una consuetudine ininterrotta, da quell’epoca in poi, ha talmente sostenuto quella pratica che non solo le dissolute massime del mondo tolleravano quel barbarico diritto, ma anche le dottrine dei filosofi, che avrebbero dovuto essere più corrette e accurate, venivano fuorviate dalla consuetudine stabilita, e in questa, come in altre occasioni, invece di censurare, sostenevano questo orribile abuso, con forzate considerazioni sulla pubblica utilità. Aristotele ne parla come di qualcosa che in molte occasioni il magistrato dovrebbe incoraggiare. Il buon Platone è della stessa opinione, e, con tutto l’amore per l’umanità che sembra animare i suoi scritti, non stigmatizza mai questa pratica.
Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, trad. S. Di Pietro, Rizzoli 1995, pp. 417-418
Il mito di Edipo, precipitato dal padre dal monte Citerone, in qualità di infanticidio, potrebbe forse anche rilevare, in aggiunta alle ragioni economiche di cui fai cenno, la paura che certe manifestazioni di malattia allora inquietanti ed ovviamente incurabili (come l’ epilessia, o taluni morbi, esempio la talassemia, il cui carattere ereditario era osservabile) incutevano negli antichi.
Mi chiedo inoltre se sia ancora -o sia mai stato- vero l’ obbligo dell’ aborto per le donne cinesi nel caso di nascituri di sesso femminile. Non è lo stesso caso, ma rispetterebbe la stessa logica.
In effetti lo stato cinese nei decenni passati ha adottato una dura politica di controllo delle nascite, che ha avuto conseguenze a cascata, tra cui appunto la sopressione di molte femmine, e infine un surplus di cittadini maschi che non troveranno una compagna…
Li chiamano i “rami secchi”… Tra l’ altro, nella loro cultura la famiglia è assolutamente indispensabile riconoscimento sociale e civile: devono cercare le spose oltre i confini…
qui ci vorrebbe un greco a dire la sua…
E se parlassimo di Auschwitz, diresti che ci vuole un nazista a dire la sua?
certo!
bisogna sempre sentire anche – l’altra – parte.
con questo non sto affermando che li giustifico, sia chiaro.
Il nazismo adduceva motivi ben noti e fondati su falsità scientifiche, artatamente strumentalizzate dal più folle monomaniaco del novecento.
Qualsiasi congettura sulle razze è millanteria e un millantatore non può essere considerato interlocutore attendibile.
La razza umana è una.
Diverso è l’ argomento del post, per quanto atroce.
A ben pensarci il sistema globale sta tuttora consentendo, di fatto, la morìa di migliaia e migliaia di neonati e lattanti del terzo e quarto mondo: sono poveri, e tanto basta per essere sterminati da Aids e dissenteria.
la cosa preoccupante, e spero che Fabio non me ne abbia se vado fuori tema, è la miriade, la massa, di persone che credevano in questo pazzo trucidatore.
tornando al tema, se questi filosofi, così attendibili, hanno proclamato certe assurde verità, io credo abbiano avuto dei motivi, tanto più che il loro pensiero si è dimostrato alto in varie occasioni.
bisogna capire quale era la causa di queste morti provocate.
(magari qualche disfunzione inguaribile oppure…chissà).
ciao
Io non credo che la razza umana sia una, per quanto possa sembrare affermazione “razzista”. La specie umana, essa sì, è una sola, esattamente come la specie canina. Il cane è un animale unico, ma nessuno si sogna di negare che esistano le razze canine, come quelle di cavalli, conigli, ecc. Dal punto di vista scientifico, razza e specie non sono termini equivalenti, e “razza” ha un significato più legato al linguaggio comune, ma nondimeno se si parla di animali è irrinunciabile. Purtroppo, il razzismo ha marchiato il termine “razza”, e per gli umani non si può più usare. Parliamo dunque di “tipi umani”. Un nero e un bianco sono tipologicamente differenti, come lo sono un watusso e un pigmeo. Ma riconoscere la differenza non significa stabilire gerarchie di valore. Il nostro mondo attuale, nemico della differenza, pensa che l’unico modo di impedire la sopraffazione sia negarla. E questo è in assoluto il suo errore più grande.
Quanto ai Greci, l’infanticidio era per loro pratica normale, come del resto la schiavitù. Tuttavia anche il progressista attuale ha le sue opacità. Per esempio, tende a pensare l’aborto come un evento psicologicamente penoso per la donna, al massimo, ma non considera il diritto del nascituro. Dal mio punto di vista, invece, non è comprensibile come un uomo in stato vegetativo dovrebbe avere un maggior diritto alla vita di un feto che si protende verso di essa. E lo dico “provocatoriamente”.
Beh, la storia insegna che qualsiasi “diritto” verrà al bisogno calpestato, salvo poi riformarsi, ma per altra gente, in momenti più favorevoli. Beninteso, i diritti sono sempre la distillazione astratta una cosa buona (specie un benevolo rapportarsi verso il prossimo) talmente buona che si vorrebba agganciarla al cielo rendendola indipendente dalle mutevoli circostanze che l’hanno prodotta, ma questa è un’illusione, credo, soprattutto nei riguardi della potenza delle idee in rapporto ad un “implicito” che rimane preponderante: della realtà cogliamo, alquanto selettivamente, poche decine di fattori e ci illudiamo che esista una loro combinazione in grado di mettere ogni cosa al suo giusto posto. In realtà siamo in grandissima parte trascinati dall’implicito. Così la sensibilità nei riguardi dell’infanticidio di una persona andrebbe, per dire, rapportata anche alla sua disponibilità a farsi maciullare, da oplita, in uno scontro tra falangi.
Noto a margine che negli Stati Uniti le persone che sono a favore della pena di morte sono generalmente contro l’aborto. Viceversa, i sostenitori del diritto di aborto sono generalmente contrari alla pena di morte.
Ho dimenticato la firma (e un “di”) al punto 8.
Dimentichi la polemica che divampa fra gli intellettuali che, per la maggior parte , affermano che un feto non è una creatura vivente pertanto è lecito abortire. Chi invece è di parere contrario, dichiara che fin dai primi giorni del concepimento il feto è già un individuo con il suo diritto alla vita. La scienza non aiuta perchè si divide anch’essa nelle due suddette fazioni. A questo punto i credenti si schierano con la Chiesa e rifiutano l’aborto, i non credenti si schierano pro o contro a seconda della loro moralità o delle loro credenze. Non si verrà mai a capo del dilemma se non il giorno in cui la scienza non arriverà ad una più che chiara e logica e teologica conclusione.
Tra “creatura vivente” e “persona umana” c’è una certa differenza. La scienza, dal canto suo, non può arrivare in nessun caso a conclusioni teologiche o filosofiche, perché queste non appartengono al suo ambito. Lo scienziato come persona può avere opinioni religiose o non religiose, ma queste opinioni per sé non sono scientifiche, anche se possono (o possono non) fondarsi sulla scienza.
Oggi siamo generalmente portati a inorridire all’idea dell’infanticidio come praticato nel mondo antico greco-romano. Noi “occidentali”, voglio dire genericamente, del XXI secolo. Questo perchè siamo ancora permeati di cristianesimo, bene o male. Nella Lettera a Diogneto, l’ignoto autore, presentando i cristiani, allora perseguitati come setta pericolosa e immorale, diceva tra l’altro: essi non espongono i bambini. Al cristianesimo si deve certo la consdierazione per le vittime che oggi assume a volte aspetti grotteschi. Però mi sembra anche che pensando ai bambini spesso siamo portati a immaginarceli concretamente, pensando ai nostri figli, mentre per il feto non ci arriviamo in genere.