Rileggo Simone Weil 78

Fecondazione. Il seme deposto da un uomo in una donna e che diventerà, se si dà concepimento, un essere umano, deve contenere un’energia trascendente rispetto all’energia vitale come l’energia vitale rispetto all’energia meccanica, chimica, elettrica, e questa rispetto al calore. Se il seme, invece di essere espulso, viene distrutto nel corpo dell’uomo, liberando questa energia – come la distruzione del legno in cenere libera energia meccanica e termica – l’uomo dispone di un’energia superiore a tutto ciò che egli potrebbe ottenere altrimenti. Questa captazione di energia superiore è la castità.
[Le donne posseggono questa fonte? La loro inferiorità per quanto concerne il genio e anche rispetto a certi aspetti della santità è dovuta a questo?] (III, 297)

La divisione in due, la dualità è la sventura della creatura. La divisione della vita in due sessi ne è il simbolo (III, 299)

Il carattere ripugnante dell’omosessualità è dovuto precisamente alla degradazione di una facoltà superiore? (III, 298)

* * * * * * *

Il catarismo weiliano si rivela in innumerevoli passaggi dei Quaderni. Qui l’aspirazione ad una Unità assoluta, in cui la pluralità è annientata, a partire dal due che già per sé è una sventura, appare connessa al rifiuto del corporeo. Mi pare estremamente interessante l’accenno all’inferiorità della donna, che è presentata come una evidenza di cui, semmai, sarebbe da indagare la causa. Laddove i primi versetti del Genesi cantano il sorgere della molteplicità come un bene voluto da Dio, per Simone Weil quella stessa molteplicità è un incubo da cui uscire.

12 pensieri su “Rileggo Simone Weil 78

  1. la castità può appartenere sia alle donne sia agli uomini….non capisco questo limite del genio…piuttosto ridotto alla sua concentrazione nel seme.
    è la fecondazione il frutto del genio, e non sempre l’uomo la possiede.

  2. certo, se si parte dal presupposto che l’uomo detiene il potere…(solo perchè fa le guerre ed è ecclesiasta….)

    la dualità – deve – esistere…perchè è proprio da li che si evolve il pensiero, e da li nascono i limiti dell’uomo.
    perchè l’uomo – è – limitato. volente o nolente.

  3. Io qui leggo una Weil in fase critica che la conduce ad una forma di alienazione dall’ umano. La filosofa aveva forse ragioni inconfessabili e molto intime per addivenire a sentenze tanto mortificanti per il suo stesso genere.

  4. Come darle torto, Carla, e come non riconoscersi: il pessimismo di Simone Weil è la semplice ed inevitabile conseguenza della sua onestà intellettuale e della sua sofferta sempiterna tensione ad un’ unità sovrumana assoluta. Conosco -in totale umiltà-, il dolore che ne deriva.

  5. Cosa c’è di più annientante di una unità sovrumana assoluta? Io, contrariamente alla Weil, amo la pluralità degli enti, mi inebrio del pullulare delle creature. L’ossessione della purezza finisce per condurre al puro nulla.

  6. si…è terribile la visione relegata all’unità più assoluta….
    io ammiro molto i suoi concetti, i suoi ragionamenti danno sempre da riflettere…
    ho scritto una cosa sull’amore, mi piacerebbe sentire la tua opinione…forse esagero…?
    (sono stata influenzata dalla lettura di Nygren…)

  7. Tendere ad una superiore unità, ad un compimento della propria anima in un altrove di più ampio respiro e maggiore prospettiva, a me pare, piuttosto, una ricerca del tutto, non già del nulla.
    L’ ostinato attaccamento ad una visione antropocentrica della vita e poi, per ciascuno, dell’ individualità egoistica, è forse una delle principali cause della nostra moderna infelicità. Più o meno consapevolmente ospitiamo in noi anche desideri, sensazioni, memorie cosmici, o non saprei come altro definirli, in perenne conflitto e contraddizione con il nostro ritenerci misura di tutte le cose.
    Ciò non esclude affatto la capacità di godere delle differenze e della pluralità degli aspetti dell’ esistere, ma, semmai, consente invece d’ interpretarli con una maggiore approssimazione di verità.
    L’ unità che la Weil cercava (e che ha trovato) era la perfetta corrispondenza tra le sue ansie mistiche, le sue istanze politiche, le sue riflessioni sull’ esistenza, e la sua vita.

  8. L’ha trovata nella morte. Sognava di poter vivere di luce, come una pianta. Il suo rifiuto del cibo, che la portò a consumarsi, mi sembra emblematico. Anelava alla de-creazione. Non si possono amare le creature e pensare che la creazione sia male.

    1. Caro Fabio, sai bene che rifiutò di mangiare anche un solo grammo in più della razione di cibo destinata ai combattenti al Fronte per spirito di solidarietà, per coerenza tra pensiero ed azione e non certo con l’ intenzione di auto-sopprimersi. Il principio di non-contraddizione pare semplice soltanto fino a quando lo distacchi dalla mera teoria e provi a realizzarlo in pratica.
      Pensa come sarebbe istruttiva, per i nostri politici crapuloni, una simile lezione! Pensa se -senza arrivare neppure lontamente alla sua coerenza-, rinunciassero anche solo all’ eccesso di privilegi a favore della collettività cui chiedono il voto…
      E poi, io vedo un’ enorme differenza tra consapevolezza della morte ( conseguente sprone ad essere migliori in vita) ed infatuazione per essa.

  9. la visione, per essere completa, deve abbracciare il mondo. nel bene e nel male.
    l’unità non ci è concessa, là dove esiste, è solo disperazione…
    o limitazione.
    ognuno sceglie secondo la sua geografia, e lei ha scelto la necessità.
    scelta che chi ama la vita non farà mai.
    per questo è importante non seguire una sola direzione, ma abbracciarle tutte con il dovuto distacco.

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