The Genesis of Desire

7684915La mimesi è un meccanismo universale: nessuno di noi può sfuggirvi. Ma la sua necessità non è un semplice determinismo. Io posso ancora scegliere chi desidero imitare, e modellare me stesso su di lui. (p. 27) Questa è forse l’idea più generale che regge l’argomentazione di Jean-Michel Oughourlian in The Genesis of Desire (Michigan State University Press 2010). Jean-Michel Oughourlian è uno psichiatra, ed una delle due voci che tessevano il contrappunto nel basilare testo di René Girard Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. Egli è convinto che dalla teoria mimetica si possano ricavare applicazioni terapeutiche, e questo libro sul desiderio contiene numerosi esempi clinici, tratti dalla vita professionale dell’autore. Un altro cardine del discorso di Oughourlian è il concetto estensivo di desiderio, inteso come movimento psicologico caratteristico degli umani. Noi siamo creature del desiderio, e non abbiamo alcuna consistenza al di fuori di esso.

In verità, è il desiderio che dirige il sé e che lo crea: il sé non è altro che ciò che potremmo chiamare “sé -desiderio”. Il sé come tale, pertanto, non è davvero responsabile: il desiderio segue il suo stesso destino, la sua stessa logica. Esso scompare nel momento in cui l’ostacolo che ha opposto resistenza si arrende. Qui il sé riconosce di non avere alcun potere suo proprio e non può fare nulla.  (p. 30)

Da un lato, il sé non ha alcuna consistenza al di fuori della rete di relazioni dinamiche che lo costituisce, dall’altro il soggetto (realtà sfuggente) può raggiungere liberazione e pacificazione mediante la conoscenza.

L’unico modo per conquistare la libertà dal mimetismo è comprendere che noi vi siamo sempre e totalmente immersi, e che la rivalità che ci minaccia ad ogni istante può essere tenuta a bada solo mediante la rivelazione del meccanismo che la fa nascere. (p. 35)

Oughourlian dedica varie pagine alla scoperta dei neuroni-specchio, che confermerebbe pienamente l’intuizione girardiana, e produce una serie di casi clinici che avvalorano la sua visione. L’analisi mimetologica del mito di Adamo ed Eva è forse la parte più interessante (e problematica) di quest’opera, che ha natura di applicazione della teoria girardiana, e, per dirla un po’ scherzosamente, rimane pienamente ortodossa rispetto al pensiero del maestro.

15 pensieri su “The Genesis of Desire

  1. L’unico modo per conquistare la libertà dal mimetismo è comprendere che noi vi siamo sempre e totalmente immersi, e che la rivalità che ci minaccia ad ogni istante può essere tenuta a bada solo mediante la rivelazione del meccanismo che la fa nascere. (p. 35)

    ma se ci siamo immersi, come facciamo ad avere la lucidità necessaria per scoprire il meccanismo che ci rende “schiavi” di essa?

    La mimesi sarà anche un meccanismo universale ma ammazza la coscienza di un sè individuale che può benissimo esistere, anche se eccezionalmente.

    scegliere chi si vuole imitare sottintende scegliere di non essere pienamente sè stessi.

    ciao Fabio, molto stimolante questo tuo post…

  2. Secondo Oughourlian il sé individuale non esiste come realtà indipendente, e il fatto che la mimesi sia universale fa sì che si possa solo scegliere il modello cui aderire. Sono d’accordo con te sul fatto che vi sia qui un’aporia. L’instabilità del sé, la sua evanescenza, porta alla domanda: che cosa è ciò che sceglie? che cosa è ciò che deve essere salvato?

  3. tento una risposta…
    1) la nostra coscienza, quando riesce a staccarsi dall’ambiente che la condiziona.
    2) L’individuo, perchè ognuno ha, deve avere, una propria personalità…

    ho una domanda anche io:
    siamo sicuri che la mimesi sia una necessità?

  4. Io sono profondamente convinto che nessuno sfugga alla mimesi. La vedo ovunque, anche nei santi. Quanto all’individuo, bisogna vedere che cosa si intende con questa parola. Io non l’amo, e infatti quasi non la uso. Preferisco “essere umano”, “persona” o “soggetto”, o “singolo”. L’individuo è pensato come in-diviso, e questo non mi convince affatto.

  5. E’ un dibattito molto interessante. Ho letto adesso il libro e condivido quello che dice Fabio, anche se Carla ha ragione, secondo me, quando cerca un’idea della persona meno “evanescente”. Però qui forse siamo su un piano filosofico troppo pieno di problemi: l’anima, la sostanza ecc. Mi pare che l’autore parli in una prospettiva fenomenologica, ma certo si sente il bisogno di affermare l’unicità della persona: forse potrebbe aiutare Bergson con la sua idea della coscienza, libera e unica proprio perchè formata da tantissime eperienze, e sempre in divenire. E’ difficile staccarsi dall’idea di in-dividuo.

  6. Si potrebbe pensare in termini “evolutivi” questo tema del sè, come cioè tendente ad un completamento sempre in fieri nel corso dell’esistenza della persona, orientato però ad un punto Omega? Ricordo di Teilhard de Chardin, in cui, mi pare, c’è un’ambiguità simile a quella di Oughourlian riguardo al permanere di un’identità del singolo nell’ambito dell’umanità.

  7. Penso che, ad un certo punto, un approccio meramente antropologico e psicologico a questo tema si riveli insufficiente. Subentrano, infatti, interrogativi di natura speculativa, e infine metafisica.

  8. “Esso scompare nel momento in cui l’ostacolo che ha opposto resistenza si arrende.”

    Pur considerando la teoria mimetica illuminante, penso che contenga talune forzature, come questa citata. Talvolta mi è accaduto che, nel raggiungere un obiettivo, questo perdesse improvvisamente importanza e sapore, però mi pare un’eccezione piuttosto che la regola. Il desiderio secondo me è più polimorfo, cangiante: superato l’ostacolo si rielabora, si reinventa, spesso si potenzia, e non necessariamente inventandosi un altro ostacolo: insomma un poco di felicità a questo mondo anche la si trova no? :-)
    Un piccolo distanziamento lo prenderei anche riguardo al ruolo del mimetismo e del linguaggio nella costituzione nella coscienza di sé. Seppure fondamentale, non dimenticherei la distinzione di Damasio fra coscienza “di base” (basata su peculiari interazioni neurologiche) e la coscienza “autobiografica” che su di essa di innesta, grazie appunto al linguaggio e a come esso struttura la memoria. Vi è quindi una certa proprietà di “connessione” dell’io, della coscienza cioè, di incarnare un “punto di vista” ben preciso che “sente”, che permane anche nella febbre delirante, o nella perdita dell’area del linguaggio (per non dire ad una temporanea perdita di ogni desiderio) e che solo certe droghe sembra riescano ad allentare. Ed è in fondo quella parte che, aldilà di tutte le nostre differenze, intuiamo identica negli altri e che rende di solito assai ragionevole l’immedesimazione nelle storie altrui, ed in parte anche – e qui so che ti farò arrabbiare :-) negli animali.

  9. Ma no che non mi fai arrabbiare, caro Elio. Son ben convinto che in noi ci sia una parte di bestia! Anch’io non sono dell’idea che il mimetismo spieghi tutto. Spiega molto, ma non tutto.

  10. Penso che la coscienza individuale, più o meno forte, sia da intendere come il grado di responsabilità dell’essere al mondo che ognuno percepisce in sé. Penso anche che sia qualcosa di primario rispetto al meccanismo della mimesi, che, in quanto scelta, ha bisogno di una “sostanza” autonoma e consistente che la operi. Anche alcuni desideri possono essere modulati dalla coscienza, e comunque non credo che la loro soddisfazione conduca sempre e comunque alla tragica consapevolezza dell’impotenza del sé. Mi sembra un po’ una forzatura teorica…

  11. Bisogna tener conto del fatto che ciò che negli animali è immediato, nell’umano passa attraverso la sfera della rappresentazione. Tuttavia, occorre riflettere sui dati che riguardano l’attività neuronale – specchio. Se si attivano gli stessi neuroni quando la scimmia prende una banana e quando vede un’altra scimmia o un umano prendere una banana, ma non quando lo vede fare a un braccio meccanico, questo mi appare di fondamentale importanza per comprendere il substrato biologico-comportamentale del nostro modo di essere, che è relazionale fin dall’inizio. Del resto, sappiamo con certezza che un bambino diventa umano solo se ha un contatto con ALTRI UMANI FIN DALLA NASCITA.

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