Il secondo capitolo de La cura del bambino autistico si intitola significativamente Jacques Lacan e le psicosi. Il peccato mortale, come abbiamo già osservato, è quello dell’iscrizione dell’autismo in quanto tale nell’ambito delle psicosi, che tra l’altro giustifica il titolo. Infatti Egge pensa l’autismo come cosa infantile, e si colloca tra coloro che parlano di quelli che furono bambini autistici come adulti psicotici. Qui è la radice del famoso cambio di diagnosi che ha imperversato nel nostro paese, disorientando le famiglie, nel passaggio tra neuropsichiatria (nascita-16 anni) e psichiatria (16 anni -).
A pag. 61 Egge scrive: “Finalità di ogni cura è produrre il soggetto al di là della struttura cui egli appartiene. Cosa significa produrre il soggetto? Ogni bambino si trova alla nascita in posizione di oggetto dell’Altro materno”. Qui mi pare di poter muovere due obiezioni fondamentali, dal momento che Lacan e i lacaniani usano un linguaggio para-filosofico. E la prima obiezione è di natura puramente filosofica. Questa: un soggetto non può nascere da un non-soggetto, ma solo da ciò che, se pure è oggetto, ha in sé già da sempre la natura di soggetto, è già un soggetto – liminale, esordiente, in fieri, ma soggetto. E infatti anche il neonato ha una sua soggettività, e – seconda obiezione – la esprime con un attivismo di esplorazione del mondo già nei primi giorni di vita, dimostrando un evidente germe di capacità relazionale. Il considerare il bambino “a livello strutturale” come oggetto del desiderio della madre, come per lei costituente una identità col fallo (per la madre fallo=bambino), e il ritenere che “per tutti, all’inizio non c’è soggetto ” se non passando attraverso “la strada maestra chiamata Edipo” (62) mostra una rigidità categoriale del pensiero, un suo ideologico irrigidirsi in una costruzione a-dialettica.
La psicoanalisi ha un aspetto magico: si tratta di un sapere rigido costituito su una serie di mitologemi, che tuttavia riesce a presentare un aspetto, un ad-spectum incantatore e fluido proprio in virtù di affermazioni dogmatiche, e di posizioni che ad un pensiero non critico possono apparire come certezze. Se le parole hanno un senso, proposizioni come “quando il bambino si accorge della sua totale dipendenza dall’Altro materno e della sua impotenza, è profondamente depresso” (63) dovrebbero destare sospetto.
Che poi l’intero edificio della psicoanalisi sia ab origine segnato da un profondo e irredimibile maschilismo è stato messo in luce da tempo. Anche nel capitolo Jacques Lacan e le psicosi questo maschilismo deformante è ben visibile. Quando si parla di bambino (genere maschile, qui non si parla mai di bambina, e non deriva certo dal fatto che kind in tedesco è di genere neutro) l’interlocutore principale, il motore di tutto, è sempre il fallo. (73)