Rileggo Simone Weil 51

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Lo spirito non è forzato a credere all’esistenza di niente. (Soggettivismo, idealismo assoluto, solipsismo, scetticismo. Vedere le Upaniṣad, i taoisti e Platone, che usano tutti di quest’attitudine filosofica a titolo di purificazione). Per questo l’unico organo di contatto con l’esistenza è l’accettazione, l’amore. Per questo bellezza e realtà sono identiche. Per questo la gioia pura e il sentimento di realtà sono identici.
Tutto ciò che è colto con le facoltà naturali è ipotetico. Solo l’amore soprannaturale afferma. In tal modo noi siamo co-creatori.
Noi partecipiamo alla creazione del mondo decreando noi stessi. (II, 262-263)

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Il pensiero dell’irrealtà del reale, della non esistenza di ciò che appare esistente, è da sempre uno dei pensieri della metafisica. Fa parte del processo di costruzione di ogni filosofia autentica (una filosofia è autentica quando non si sottrae alle interrogazioni più radicali).

L’identificazione di realtà e bellezza, tuttavia, per quanto abbia una lunga storia e innumerevoli incarnazioni, si è rivelata sempre più problematica nel corso degli ultimi due secoli. Infatti, se bellezza e realtà coincidessero, ciò che è brutto dovrebbe essere irreale. La tragicità della storia umana sarebbe la cifra di un’illusione. L’identificazione di realtà e bellezza porta all’affermazione che tutto ciò che esiste è bello, e quindi il brutto è predicabile di non realtà. Ma gli orrori del Novecento sono da noi sentiti tanto reali che ce ne sentiamo schiacciati, e dopo Auschwitz qualcuno giunse ad affermare che non fosse più possibile la poesia. Come sempre in Simone Weil, l’attitudine mistica e quella filosofico-metafisica conflagrano. La concettualizzazione dell’esperienza mistica la riporta entro i confini della significazione umana, e qui essa deve pagare lo scotto delle norme che la regolano, come quella del principio di non contraddizione.

5 pensieri su “Rileggo Simone Weil 51

  1. Io parto dall’idea (completamente soggettiva) che il reale arriva ad essere meraviglioso così come sa essere spietato, partendo da questo presupposto, è chiaro che la contraddizione è già dentro questa unione, la bellezza sa essere terribile come gli angeli, come gli dei
    la bellezza sa anche incantare…
    l’amore si, l’amore è il filo conduttore che può unirle, senza l’amore la bellezza non raggiunge il suo apice, senza l’amore la realtà è vuota, l’amore incorona queste due entità e le innalza, ma mi riesce difficile legarle tra loro…
    la bellezza esiste in ciò che è impalpabile (come la poesia), ma anche in ciò che è effimero…quindi è leggera…
    la realtà, è molto pesante.
    l’artista vive in una perenne irrealtà….vive nell’illusione di possederla.

  2. Trovo che i “vetrini” di Fabio siano particolarmente ben preparati, pronti ad essere messi sotto alle lenti del nostro microscopio, e quindi a venire travisati attraverso le nostre particolari aberrazioni sferiche e cromatiche. Per me non c’è senso alcuno a identificare la bellezza, che è un sentimento, un intreccio nel quale posso ritracciare indietro mille fili che infine si inabissano nel corpo (che è il prodotto di milioni di anni di sanguinosa “ricerca&sviluppo”, e non può essere “esaurito” dall’esile fiammella della coscienza soggettiva) e la realtà, che è l’enigma unico e austero dal quale derivano tutti gli altri. E’ un operazione che produce soltanto un “vano almanaccare” nel quale d’altronde si riconosce benissimo l’invitante opportunismo di una mossa che ribalta l’ontologia, mettendo ad origine ciò che derivazione, anzi coronamento. Il resto sono enfasi sentimentali: Auschwitz non impedisce a nessuno di godersi la vita, anche facendoci sopra della poesia, e gli orrori del novecento ci schiacciano soltanto quando, per complessissime ragioni, troviamo un perverso godimento (sul quale incombe l’occhio altrui) nel farcene schiacciare.

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