Gli animali hanno diritti?

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Animal Rights and Wrongs è il titololo originale di questo libro di Roger Scruton, la cui prima edizione inglese risale al 1996, e che è stato pubblicato in traduzione italiana (di D. Damiani, non sempre precisissima, a mio avviso) da Raffaello Cortina nel 2008 col titolo Gli animali hanno diritti?. Per me, che sono cacciatore e pescatore, la tematica dei diritti degli animali è assai interessante, e devo dire che nellle argomentazioni di Scruton mi ritrovo totalmente. Anch’io, come lui, ritengo che non abbia senso pensare che gli animali abbiano diritti per sé, e che la questione si ponga solo dal punto di vista umano, esclusivamente all’interno dell’orizzonte della rappresentazione umana. Infatti non ha alcun senso pensare che gli animali abbiano diritti anche prescindendo dal loro rapporto con gli umani, e questo per il semplice fatto che la sfera del diritto è una produzione della nostra specie, e di nessun’altra.

Quindi il riconoscimento di diritti a quella o a quell’altra specie animale dipende in modo assoluto dall’arbitrarietà delle culture umane. I Cinesi mangiano i cani, mentre per noi Occidentali l’uccisione di un cane è un reato, e addirittura l’idea di eliminare a fucilate i cani assassini che in questi giorni hanno sbranato persone in Sicilia turba fortemente la maggior parte di noi. Di converso, ci turbano ben poco le sofferenze dei bovini chiusi nelle stalle e portati nei macelli industriali, e l’idea che il bicchiere di latte che beviamo sia reso possibile dalla morte di un vitello non ci passa neppure per la testa. Dunque, nella nostra civiltà gatti e cani hanno molti diritti, vitelli e polli ne hanno molti meno. E quando qualcosa minaccia la nostra salute, come il virus della mucca pazza o l’influenza aviaria, il massacro di milioni di animali non ci commuove per nulla, semplicemente distogliamo lo sguardo. Secondo Scruton, la differenza fondamentale tra l’umano e l’animale è che il primo è un essere morale, il secondo no (in termini generativi noi possiamo sostenere che moralità e linguaggio nascono insieme nel gesto di appropriazione interrotto della scena originaria, luogo della fuoruscita dell’umanità dall’animalità).

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Come ho già sostenuto, che gli esseri umani siano gli unici esseri morali sulla Terra è questione empirica: tendo a pensare che sotto questo aspetto noi si sia i soli, come credo che qualunque evidenza che altre specie abbiano varcato il confine e siano entrate nella sfera morale ci obbligherebbe a trattare i loro membri come noi trattiamo i nostri simili. Questo non significherebbe soltanto accordare loro dei diritti, considerare inviolabili la loro vita, le parti del loro corpo e la loro libertà, e accettarli come oggetti di emozioni superiori, ma vorrebbe anche dire imporre loro doveri e responsabilità, ragionare con loro e trattarli come soggetti alla legge morale. Tuttavia, allo status morale si accompagnano grandi vantaggi e al contempo grevi fardelli: a meno che non si sia nella posizione di imporre i secondi, i primi non hanno significato, poiché sono tali solo per chi sa come metterli a profitto o, in altre parole, per chi considera se stesso vincolato da doveri morali e responsabile delle proprie azioni. (p. 29)

10 pensieri su “Gli animali hanno diritti?

  1. … di conseguenza, Lei, cacciatore e pescatore a titolo – immagino- “sportivo” o ludico e non per ragioni di sussistenza, ritiene che la supposta amoralità animale autorizzi l’ Uomo a sfogare le sue frustrazioni predatorie ed altri impulsi derivanti da chissà quale memoria ancestrale, a spegnere gratuitamente la vita?

  2. Sì, penso che la vita animale possa in linea di principio essere spenta. Io uccido un pesce o un fagiano senza alcun problema, all’interno di un’ottica venatoria-piscatoria. Che ciò avvenga “gratuitamente” è dubbio. In ogni caso, la posizione di un diritto assoluto alla vita da parte di tutti gli esseri viventi non è fondabile dal punto di vista teoretico, poiché la natura non lo ammette. E se il diritto è una fondazione umana, esso è relativo e nulla può impedire al singolo soggetto di contestarlo, anche sfidando la condanna altrui. Se invece si pensa che il diritto sia di fondazione divina, allora si deve vedere quale sia la prescrizione della religione in materia di caccia. Quella cristiana non vieta la caccia e la pesca per diletto, e quella islamica neppure.

  3. Una domanda: l’uccisione crudele e segreta di un animale con intento unicamente sadico (per esempio la lenta tortura di un cane, fino alla morte, per godere dei segni della sua sofferenza) sarebbe teoreticamente accettabile?
    Specifico “segreta” perché credo che si potrebbe validamente argomentare in merito al valore diseducativo di un’attività del genere condotta in pubblico.

  4. Io penso che il godimento delle sofferenze altrui sia una perversione. Penso anche che questo pensiero derivi dalla costituzione etica dell’umano, in cui mi riconosco. Il sadismo del godimento della sofferenza del morente sta alla caccia come l’esaltazione erotica del maniaco feticista sta alla pienezza dell’eros.

  5. Specifico che mi incuriosisce unicamente la questione della costruzione teorica dei diritti degli animali. (Non sono ostile alla caccia – salvo che per il problema del possesso privato delle armi –, non sono un animalista ecc.)
    Se anche provo ribrezzo di fronte al godimento della sofferenza altrui, mi chiedo perché le attività finalizzate a procurarlo, quando la vittima sia un animale, debbano essere condannate. (Teoreticamente, in base a quale principio e ragionando in che modo.) Se l’animale non è titolare di diritti, se la società è tenuta all’oscuro della sofferenza inflitta e del godimento ottenuto, non colgo da cosa derivi un giudizio di disvalore da tradurre in una sanzione. Manca il soggetto offeso, mi pare.

  6. Si tratta di “humanitas”, a mio avviso. L’umano riconosce nell’animale (soprattutto se a sangue caldo) un suo simile, anche se non un suo pari. Per questo mangiarne le carni è per il Greco “omofagia”. Per questo, anche, la violenza sull’animale deve essere inserita in un quadro che la giustifichi, e questo è culturalmente variabile. Nell’occidente di oggi l’idea di un matrimonio omosessuale è meno scandalosa di quella della caccia. Similmente, il fare sesso con un animale in segreto non sarebbe offensivo dell’animale, ma di una idea di umanità. Ma se si afferma la visione anti-specista, anche il rifiuto del sesso tra specie differenti sarebbe visto come una forma di oppressione…

  7. Devo ragionarci. Ringrazio comunque degli spunti di riflessione.
    Segnalo soltanto un problema relativo alla “costruzione” dell’animale come titolare di diritti (e cioè di pretese [una pretesa deve essere enunciata o può semplicemente essere riconosciuta in un comportamento?] nei confronti di beni, pretese riconosciute meritevoli di tutela dall’ordinamento): se l’animale ha un diritto alla vita e ad evitare la sofferenza, perché non dovremmo impedire agli animali di farsi del male, gli uni agli altri? Forse che una lepre sotto gli artigli o le zanne di una lince soffre di meno che avendo in corpo i pallini o pallettoni di un cacciatore? Ragionare in termini di quadro culturale che giustifica la violenza permette di operare delle distinzioni, ma resta il fatto che la lepre non sa nulla del quadro che io condivido con altri esseri umani e conosce solo la sofferenza – che è identica a quella che proverei io sotto gli artigli e le zanne di quella lince ecc. Ma è identica? La sofferenza esiste solo se enunciata, solo se articolata in parole, se causa di un discorso sociale (lamento, accusa, rivendicazione, incitamento alla rivolta)? Forse il punto è che un diritto può unicamente essere rivendicato.

  8. Il diritto assoluto alla vita sta nel DNA di ogni essere vivente ed affermare che in linea di principio sia ammissibile spegnerla per motivi diversi da quelli della conservazione della propria -come la necessità del nutrimento delle carni di animali-, oppure anche altri di ordine più specificamente “etico” -come la procurata cessazione di sofferenze-, mi appare sprovvisto di qualsiasi logica. In qualità di donna e madre, ossia origine di vita, accolgo in me testimonianze potenti della veridicità di un simile assunto. Ci sono diritti inviolabili. Discuterne è l’ ennesima conferma della sconfinata tracotanza umana.

  9. Sono d’accordo con le tue considerazioni, Giacomo. Aggiungo che secondo me sussiste una differenza fondamentale tra la sofferenza mediata dalla rappresentazione, ovvero quella umana, e la sofferenza non mediata, ovvero quella animale. Anche il diritto rientra nella sfera della rappresentazione. Quindi anche il discorso dell’anonimo, per cui “il diritto assoluto alla vita sta nel DNA di ogni essere vivente” è fatto da un umano in base ad una visione culturale e ideologica. Significa solo che ogni vita tende all’autoconservazione. Infatti il DNA di una lepre non può sostenere questo diritto di fronte a quello della volpe che la persegue. Ancora una volta, l’affermazione della tracotanza della specie umana ci conferma come l’unica specie autocritica…

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