In un momento tanto critico per le relazioni tra Occidente e mondo islamico qual è quello che stiamo vivendo, in cui si pubblicano in un Paese europeo vignette satiriche su Maometto e a queste nel mondo islamico si risponde con sdegno e anche con azioni violente, la poderosa opera di Hans Küng Islam. Passato presente e futuro (Der Islam, 2004, tra. it. di S. De Maria, G. Giri, S. Gualdi, V. Rossi e L. Santini, Rizzoli, Milano 2005) si presenta come uno sforzo titanico di pacificazione, in un’ottica opposta a quella del Clash of Civilizations.
Per ottenere una condizione di pace, Küng sa che non bastano i buoni sentimenti, di cui in apparenza grondano tutti i mezzi di comunicazione di massa (in Occidente), ma occorre un duro lavoro del concetto. Questo è chiaro nell’epigrafe iniziale.
Non c’è pace tra le nazioni
senza pace tra le religioni.
Non c’è pace tra le religioni
senza dialogo tra le religioni.
Non c’è dialogo tra le religioni
senza una ricerca sui fondamenti delle religioni.
Il grande teologo svizzero, uno dei pensatori più liberi della Chiesa Cattolica, attua un suo immenso piano di lavoro teologico-storico, che lo porta a ricostruire in tre straordinari libri le vicende storico-teologiche dei tre monoteismi abramitici. In fondo, l’impostazione è quella di un Lessing cattolico del terzo millennio, la pietra miliare è Nathan der Weise, come Küng riconosce alle pagine 25-26. Le tre religioni si debbono riconoscere nella loro reciproca dignità, che non impedisce loro di criticarsi vicendevolmente. In questo senso occorre la reciproca conoscenza (che però secondo me non basta affatto, come è dimostrato da infinite guerre e contrasti in cui gli attori si conoscono perfettamente, come gli stessi Sciiti e Sunniti). Islam segue le differenti fasi storiche della religione musulmana con una documentazione scientifica di prim’ordine (83 pagine di note) e individua lucidamente alcuni fondamentali nodi. Uno è quello della necessità di una lettura storico-critica del Corano (la cui natura di Rivelazione l’autore accetta), rifiutata quasi universalmente nel mondo islamico, per una ricerca sui fondamenti dell’Islam analoga a quella che da tempo si è attuata nell’ambito degli altri due monoteismi. Qui Küng, che per il dialogo si batte strenuamente, incontra una pietra d’inciampo che è un colossale macigno.
Sarebbe molto utile se gli studiosi islamici iniziassero ad adottare un approccio di tipo storico, ma per un musulmano questo è ancor oggi un reato punibile con la morte, esattamente come lo era l’eterodossia per un cattolico dei tempi dell’Inquisizione o per un protestante liberale nella Ginevra di Calvino. Nel 1971 mi trovavo a Kabul (che allora era ancora la tranquilla capitale dell’Afghanistan) e durante una lunga discussione notturna fra amici, alla presenza di un professore musulmano, affermai tra il consenso generale che la parola divina del Corano è al tempo stesso anche parola umana, parola del Profeta. Chiesi dunque al mio interlocutore straniero se gli fosse possibile esporre simili considerazioni anche in sede universitaria e la sua risposta fu un esplicito «no»: «In quel caso dovrei espatriare». Fu quel che poi accadde qualche anno più tardi. Mi chiedo attraverso quali canali un musulmano possa ricavare una visione positiva della problematica storica sul Corano. (p. 627)
Un altro nodo è il blocco della ricerca filosofica libera, che perdura dai tempi di Averroè, e che si è accompagnato alla deriva legalistica dell’Islam, divenuto anzitutto una religione giuridica, e ad un impedimento alla nascita di una scienza moderna in tutti gli stati islamici.
A che cosa dobbiamo dunque imputare l’improduttività intellettuale del mondo islamico nell’età moderna? Neanche Bernard Lewis risponde in modo preciso a questa domanda. Anticipando, vorrei rispondere sostanzialmente come segue: non è l’islam in sé a essere colpevole, non lo è neppure un certo paradigma, finché rimane all’interno del proprio tempo; il problema sorge quando un paradigma viene perpetuato («eternato») oltre la sua epoca. In raffronto: il paradigma ulama-sufi per l’islam del medioevo è adeguato tanto quanto lo è quello cattolico romano per il cristianesimo medievale. Ma il persistere, oltre il medioevo, di questo paradigma una volta mutate tutte le condizioni epocali conduce a una discordanza temporale e dunque all’improduttività intellettuale. Ciò vale per chiesa e teologia della Controriforma e dell’antimodernismo (prescindendo dal Barocco), ma anche per l’islam dell’età moderna, il quale rifiuta allo stesso modo una Riforma e un Illuminismo. I paradigmi religiosi possiedono una elevata capacità di resistenza e di sopravvivenza soprattutto nei casi in cui la religione sia fortemente istituzionalizzata, ma la conseguenza può essere l’improduttività intellettuale, nel cristianesimo come nell’islam come verrà mostrato chiaramente nei prossimi paragrafi. (p. 470)
Le pagine più teologicamente dialogiche (e audaci) del libro sono quelle in cui, a partire dalla convinzione che Maometto abbia conosciuto un superstite giudeo-cristianesimo arabico, al quale si sarebbe sentito molto vicino, Küng propone ai cristiani una rilettura non metafisico-greca della condizione di figlio di Dio che appartiene a Gesù. «Se anche oggi si riconoscesse l’autenticità del significato originario del Rapporto Dio-figlio, allora anche il monoteismo islamico non avrebbe nulla di sostanziale da eccepire» (p. 586). Personalmente, dubito fortemente che le Chiese cristiane possano seguire Küng su questa linea, che le porterebbe a mettere in discussione se stesse e la propria storia in un modo assolutamente radicale. Le istituzioni religiose tutte, come lo stesso teologo dichiara, sono estremamente conservatrici di sé, e, per usare un’espressione cara ad alcuni spiriti alti, curvae in se.
Le generazioni più tarde dei seguaci di una religione cercano di ovviare all’emergente crisi di plausibilità della loro fede e delle sue prescrizioni con l’aiuto della speculazione teologica, che consiste nella maggior parte dei casi nella legittimazione teorica della diretta origine divina di tale religione. Che cosa si ottiene in questo modo? Si prendono le distanze dalle altre confessioni e si afferma la propria pretesa assoluta di verità, stimolando un profondo senso di convinzione e favorendo la coesione del gruppo. (p. 615)
Pensando alla Chiesa cattolica e alla sua dogmatica un’affermazione come la seguente mi appare davvero dirompente: «… la comprensione coranica di Gesù non va più considerata un’eresia musulmana, bensì una cristologia d’impronta cristiano-originaria su suolo arabo!» (p. 596) E mi pare che le forze in campo che potrebbero schierarsi con Küng siano davvero minoritarie.
Qualunque sia la prospettiva storica nella quale ci poniamo, è evidente che vi sono affinità contenutistiche tra il Corano e la concezione di Cristo delle comunità giudaico-cristiane. Già cent’anni or sono tali affinità furono messe in luce da Adolf von Harnack e Julius Wellshausen; successivamente, sono state individuate anche da Adolf Schlatter, un esegeta protestante di orientamento conservatore nonché dal ricercatore ebreo Hans-Joachim Schoeps. Ovviamente gli esiti delle loro ricerche non sono stati accolti e resi noti né all’interno dell’islam né all’interno della dogmatica cristiana o del dialogo ebraico-cristiano-musulmano. Non solo i teologi musulmani, quindi, ma anche i dogmatici cristiani delle varie confessioni tendono ad ignorare deliberatamente conclusioni poco gradite della ricerca esegetica e storica, mentre coloro che sono impegnati a favorire il dialogo interconfessionale sono spesso sprovvisti di nozioni teologiche, esegetiche e storico-dogmatiche. (pp. 589-590)
Un problema, poi, che il libro lascia del tutto aperto è quello del Mercato. La supremazia dell’Occidente, che dal tempo della spedizione napoleonica in Egitto determina sconcerto e risentimento nel mondo islamico, non è solo scientifica, tecnologica, industriale e militare. Essa è legata anche, e in modo essenziale, al mercato libero. E sul Mercato le idee dei teologi, per quanto avanzati come Küng, mi appaiono sempre in qualche modo arretrate, non all’altezza dei tempi. Essi faticano ad accettarlo. Forse perché dire Mercato significa evocare gli Stati Uniti, e questi nella visione di Küng, e della maggioranza dei teologi, sono poco meno del Demonio.
Il testo di Küng è apprezzabile perché fa pensare, solleva perplessità e impone riflessioni, come fanno tutti i libri che val la pena leggere. Ad esso si possono perdonare difettucci come sviste nella frettolosa traduzione italiana (quali “strutture familiari e gentilezze”—anziché gentilizie) (p. 199) o affermazioni errate (Anwar as-Sadat avrebbe sconfitto Israele nella guerra dello Yom Kippur, secondo Küng, mentre accadde il contrario, ovvero che gli Egiziani, dopo il loro successo iniziale nell’attacco di sorpresa alle linee nemiche, dovettero chiedere urgentemente la fine delle ostilità perché l’audacissima manovra di Sharon sui Laghi Amari aveva portato l’esercito dello stato ebraico in territorio egiziano, e i carri israeliani puntavano sul Cairo) (p. 550).
di fronte a una analisi così articolata, ad un pensatore come com Kung, e ad un recensore come Fabio, bisognerebbe stare zitti.
Ma mi permetto di esprimere una considerazione che mi vado ripetendo da qualche decennio.
Un cristiano, non può studiare, conoscere, amare la propria religione senza fare i conti con l’Ebraismo. Gesù era (è) ebreo. La Bibbia compende l’Antico Testamento.
Un ebreo, entro certi limiti, può continuare a studiare, conoscere, amare la sua religione, anche senza prendere in considerazione Gesù e la dottrina cristiana. (l’impatto storico filosofico e sociale del Cristianesimo sono un altro discorso)
Se ci pensiamo, è un po’ l’atteggiamento che tendiamo ad avere noi cristiani verso l’Islam, Maometto e il Corano. Li consideriamo sostanzialmente superflui….
La posizione dei musulmani sarebbe, in questa ottica, quella migliore per studiare e comprendere le religioni che hanno “preparato” la rivelazione considerata definitiva.
Le cose che sono successe nei secoli, dalle conquiste arabe, alle crociate, ai ghetti ai pogrom, alle colonizzazioni alle tratte degli schiavi, alle missioni dei gesuiti in oriente…..fino alle torri gemelle di New York City…..disegnano uno scenario non proprio edificante.
Qualcuno una volta disse “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, ma non è nemmeno giusto fare di ogni erba un fascio.
(aneddoto personale: alle elementari, don F. che ci insegnava catechismo, commentò il brano evangelico citato sopra con un smitizzante “meno male che non c’era nei pressi la Madonna, concepita senza peccato…”. Non so se un Imam potrebbe permettersi battute simili in Iran o in Arabia saudita…)
L’ha ribloggato su Brotturee ha commentato:
Queste considerazioni rimangono attuali, penso.