Se io credo che l’uomo non è in balia delle circostanze, agisco sugli altri senza riguardi.
Se io credo che l’uomo è in balia delle circostanze, affido me stesso ad esse. Il che comporta, tra le altre, la prima conseguenza. Reciprocamente, d’altronde. Queste due credenze conducono allo stesso stato. Dunque una condotta giusta implica una contraddizione.
Non è affatto vero che il bene sia senza contraddizione, che il male solo sia contraddittorio. Anzi la virtù è, forse, meno logica del peccato. (I, 193)
L’umano sempre crede. Per quanto uno sia dedito alla più rigorosa scientificità, o filosofi razionalisticamente usando rasoi di Occam, giunge un punto in cui il suo sapere diviene credenza, spesso senza che egli se ne accorga. Eppure c’è sempre un saltus. Per esempio: Umberto Veronesi dice che le scimmie superiori condividono con noi quasi interamente il patrimonio genetico, e per questo hanno dei diritti, come del resto, secondo gli animalisti, li hanno tutti gli animali. Gli scimpanzé sono dei quasi-uomini, secondo una sua dichiarazione di qualche giorno fa:
“Uno scimpanzé che cos’è? Un essere vivente con una differenza minima nel genoma rispetto all’uomo. Talmente minima, i geni sono uguali al 99,5 per cento, che potenzialmente potrebbe essere un progetto di uomo. E allora perché non tutelare anche lui? La Chiesa in realtà ha una visione antropocentrica: solo l’uomo conta. Ma io che sono animalista e vegetariano mi chiedo, provocatoriamente, perché non tuteliamo anche gli embrioni degli scimpanzé, anch’essi sono progetti di esseri umani.”
Qui è evidente che, a fronte di un dato scientifico sul genoma, sul quale tutti possono concordare, si apre lo spazio delle interpretazioni e delle credenze. Veronesi crede che quello 0,5 per cento sia irrilevante, altri credono che sia rilevantissimo. Del resto, anche altre culture hanno visto il rapporto tra gli umani e gli animali come rapporto di prossimità e addirittura di permeabilità (si pensi all’antenato-totem), ma questo non ha impedito agli umani stessi di uccidere gli animali (e gli altri umani). Che un uomo non debba uccidere è una credenza, la credenza che esista una legge che vincola, non un sapere oggettivo. La scelta di essere animalista e vegetariano è un’opzione non scientifica e neppure puramente razionale, è qualcosa di essenzialmente sentimentale: ciascuno, nell’Occidente individualista di oggi, sceglie un orizzonte di sicurezze, però socialmente e culturalmente mediate da una collettività che con-sente. L’animalista isolato non esiste: è il frutto di uno sviluppo culturale (ciò che gli animali non possono avere): nel 1901 tutti i bambini in campagna “andavano a nidi”, nel 2008 tutti lo sentono come un atto criminale di spoliazione della natura: non è questione di genomi o di scienza, ma di cultura e di ideologia.
Ho visto un film di R. Redford del 1992, In mezzo scorre il fiume. Ci sono bellissime scene di pesca alla trota, ma alla fine, nei titoli di coda, si avverte che durante le riprese non sono state inflitte sofferenze ad alcun pesce. Fra poco sarà difficile presentare ai bambini la parabola del figliol prodigo, o il miracolo della pesca miracolosa. Forse è già difficile.
La contraddizione appartiene all’essere in quanto tale, che è insieme anche non-essere. Vi è dunque un fondamento metafisico di ogni contraddizione. Spesso però nel discorso comune la contraddizione è confusa con l’opposizione. Credere che l’umano sia essenzialmente libero in quanto umano è appunto una credenza. Essa è opposta a quella della totale determinazione di ogni ente, compreso l’umano – che quindi non sarebbe che uno scimpanzé perfezionato. Sono due credenze opposte, ma non contraddittorie. Continueranno a sussistere, intrecciate fra loro, e non vi sarà mai uno scioglimento di questo nodo, a causa della struttura essenzialmente paradossale dell’umano stesso, che lo distingue da ogni altro ente dell’universo. Appunto.
Buonasera Fabio,
queste riletture della Weil sono profondamente ricche, ne posso sentire tutta l’essenza stretta in poche righe, in poche essenziali sentenze…
la natura sa essere crudele tanto quanto sa essere meravigliosa,
ed è questo l’aspetto che unisce e potenzia la conoscenza di ciò che siamo, -umani fuori, animali dentro –
di ciò che ci spinge a credere…
siamo lo specchio della stessa medaglia, ma le facce sono distinte.