La casa del gelsomino

La casa del gelsomino (Bayt al-Yasmin, 1986, trad. it. di F. De Angelis, Jouvence 2006) è un romanzo di Ibrahim ‘Abd al-Magid dalla struttura abbastanza singolare. Ognuno dei 10 capitoli è preceduto da un brevissimo testo che è quasi un sintetico racconto: e sono testi differenti per stile e senso e collegamento al flusso narrativo principale. Questo espone le vicende di un personaggio, il mariuolo Shagara, che ad Alessandria conduce una vita eticamente bassa, vivendo di furberie su di un incerto confine tra sindacato e malavita. Interessante, tra le altre cose, per un lettore occidentale, è l’immagine di un Egitto sostanzialmente laico. Sembra qui che la pervasiva e sotterranea presenza dei Fratelli Musulmani non sia neppure avvertita. Ho l’impressione che molti intellettuali e scrittori egiziani se la cavino semplicemente rimuovendo l’Islam radicale dal loro mondo intellettuale e narrativo.
Mi piace citare un passo che rimanda al dibattito sui cambiamenti climatici.  Siamo alla fine degli anni Settanta. Fa freddo, molto più freddo del consueto, e i media dell’epoca parlano di ritorno dell’era glaciale. Come sempre, si cercano dei responsabili umani: la logica è evidentemente sempre quella.

I giornali sostenevano che i cambiamenti avvenuti nell’atmosfera fossero le conseguenze delle esplosioni atomiche praticate, apertamente, dalle grandi potenze e, segretamente, dai piccoli paesi. Alcuni scienziati prevedevano che saremmo ritornati all’era glaciale e che la civiltà moderna sarebbe scomparsa. La televisione fece vedere le immagini della pioggia in Europa, della neve che ricopriva le strade e le case, di collisioni fra treni, dei morti per il freddo. Gli impiegati dicevano che Dio aveva scatenato la sua ira su una comunità in cui le donne andavano in giro nude e gli uomini erano diventati ladri. Un impiegato recentemente tornato dalla Libia diceva che il motivo di tutto quello fosse Gheddafi, perché il libici provocavano, artificialmente, le piogge.
Sosteneva di aver visto con ì suoi occhi gli aerei alzarsi in volo e scaricare materiali chimici sulle nuvole, facendole sciogliere sulle coltivazioni delle aree desertiche. Inoltre gli aerei andavano in cerca di nuvole, in zone molto distanti, per poi spingerle, come un gregge di pecore, sui campi che volevano innaffiare. Questa operazione prodigiosa, col tempo, avrebbe causato la scomparsa delle nuvole sul Nord Africa; esse sarebbero state spinte verso di noi dalle zone circostanti per riempire l’enorme vuoto che si era formato nel cielo; non c’è niente di più vicino a noi dell’Europa. Il risultato di tutto questo è che stiamo quasi per annegare… Il mondo funziona come i vasi sanguigni: se muore uno in Giappone ne nasce un altro negli Stati Uniti!!
(p. 124)

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