Il libro dell’orologio a polvere (Das Sanduhrbuch, 1954, trad. it. di A. La Rocca e G. Russo, Adelphi, Milano 1994) è senz’altro uno dei più suggestivi libri di Ernst Jünger. Richiede lettori meditativi, portati alla contemplazione e ad una certa, moderata, dose di melanconia. In ogni caso, lettori disposti a rileggere le pagine e le singole frasi, perché in Jünger c’è sempre qualcosa che sfugge al primo passaggio, e il lettore veloce non può apprezzare la scrittura di questo tedesco dalla lunga vita.
Molte riproduzioni di stampe e immagini varie costellano questo testo, che segue le trasformazioni della misura del tempo nel passare delle civiltà e delle culture e dei variati modi di segnare e concepire il trascorrere. (Nell’iconografia non manca la Melancholia di Dürer, icona del mio sito Bibliosofia). L’orologio a polvere è un misuratore del tempo che ha una grande forza di rappresentazione ed una carica simbolica potente. La clessidra sul mio tavolo mi mostra anzitutto un flusso, e intanto mi ricorda che anch’io sono polvere. L’orologio meccanico è altra cosa, legato com’è alla ragione dominatrice e alla potenza, e sul tempo meccanizzato e sulla sua genesi Jünger scrive pagine molto belle. Ovviamente, Jünger non ha potuto riflettere sul tempo digitale.
Anche la misura del tempo ha tuttavia un’origine. E come tutte le origini essa è sacrificale. Impossibile scendere negli abissi del rapporto tra gli umani e il tempo senza imbattersi nelle antiche potenze e nelle pratiche umane da loro governate.
L’orologio meccanico non è né un orologio tellurico né un orologio cosmico. È una terza cosa, una creazione dell’intelletto che non indica né il tempo astronomico né il tempo terreno. Quello che ci viene dispensato è tempo astratto, tempo intellettuale. Non è un tempo che ci venga offerto in dono, come la luce del sole o gli elementi naturali, ma un tempo che l’uomo elargisce a se stesso e di cui dispone. Ciò comporta una perdita ma anche un guadagno. E, insieme, suscita nell’uomo il suo dubbio più radicale, se cioè egli dimori in una prigione o in un palazzo. Il quadrante viene privato della sua pregnanza oroscopica. La forza di gravità viene assoggettata. Nel frattempo proliferano nuove opere. Addomesticando e imprigionando il tempo si acquisisce maggior potere. Ma le antiche potenze del tempo sono sempre presenti ed esigono vittime sacrificali. Non dobbiamo dimenticarlo. (p. 75)
In effetti, si può essere condotti al sacrificio attraverso le porte di una prigione, ma anche attraverso quelle di un palazzo, edifici sovente tra loro non lontani.
Quando sorgono dubbi sulla rotazione e il suo progresso, lo sguardo ritorna a ciò che ruota e che si muove. Quali versetti, quali rune saranno mai incise sulle nostre ruote? O forse la ruota in sé appartiene agli antichi ordinamenti? Allora anche nel nostro lavoro potrebbe nascondersi una vittima sacrificale. (p. 84)