Tra le caratteristiche di decadenza del mondo moderno, non dimenticare l’impossibilità di pensare concretamente al rapporto tra lo sforzo e il risultato dello sforzo. Troppi intermediari. Come negli altri casi, questo rapporto, che non risiede in alcun pensiero, risiede in una cosa: il denaro. E, come sempre, per la sua esistenza stessa, esso scava un abisso tra i pensieri dei due termini. Ai nostri giorni, la pratica corrente e pressoché esclusiva della speculazione come mezzo d’arricchimento ne fa un abisso alla 2ª potenza (l’industria mette almeno il denaro in rapporto con le cose – la speculazione è un rapporto del denaro con se stesso). Le conseguenze si fanno sentire fino alle basi stesse della popolazione (vignaiolo di Auxerre). (I, 141)
La dialettica pervertita che stringe il capitalismo industriale e quello finanziario, al di là di sistemi politici e ideologie, si manifesta nella crisi mondiale di questi giorni. Per quanto riguarda una sua interpretazione, credo si debba essere alquanto umili: per vedere lontano occorrerebbe salire sulle spalle di un gigante, e in giro io vedo solo nani.
Il denaro in sé è sempre stato per i filosofi un oggetto oscuro ed estremamente problematico. La difficoltà della filosofia nel pensare il denaro deriva dal suo avere fin dal suo sorgere come tale distolto lo sguardo dalla violenza e dal sacrificio. In questo passo Simone Weil lo chiama cosa, ma il denaro non è propriamente una cosa, tant’è vero che può assumere varie forme, o addirittura nessuna. Esso è infatti primariamente relazione, e si oggettivizza solo in un secondo tempo. Oggi non si oggettivizza nemmeno, diviene codice alfanumerico, assume natura cibernetica. Ma essendo un prodotto umano ha, come tutti i prodotti umani, un’origine sacra e sacrificale, legata alla mimesi, e allo sforzo di controllare la violenza tramite uno strumento di mediazione collettiva. La Borsa dice molto su questo aspetto, è luogo di mimesi fulminante e di fenomeni imitativo-rivalitari che Italo Svevo aveva colto perfettamente nella Coscienza di Zeno, dove anche è evidente il doppio legame con l’altro aspetto tipico degli umani che è il gioco (rischioso, mortale). La Borsa e il Casinò sono due templi, dove il denaro fluisce, circola come il sangue, e come sangue è sparso. Un sangue metaforico che è sempre pronto a trapassare in sangue reale.
Mi azzardo a lasciare qualche briciola di pensiero. Certamente da molto tempo il denaro ( e l’oro) hanno una cattiva fama. Forse non immeritata.
Ma nel rapporto della cultura-società col denaro, l’evento più impressionante mi sembra quanto è successo negli ultimissimi decenni.
Fino agli anni della mia infanzia, il prototipo del “ricco” era il magnate industriale, tipo H. Ford o gli industriali del carbone, dell’acciaio e del petrolio. La parola “speculatore” aveva una connotazione spregiativa. Anche l’attività di compravendita borsistica era circondata di un alone di non completa “pulizia”. Quando mio padre cercò di spiegarmi i concetti di “azioni”, “obbligazioni”, “borsa” e così via, mi chiarì che si trattava di operazioni legali, lecite, ma …. quanto meno non eleganti.
Ricordo che il “quotidiano fondato da Antonio Gramsci” si rifiutava pervicacemente di pubblicare la pagine delle notizie di Borsa con le quotazioni dei titoli.
Non rimpiango . Ma penso. Per fortuna non ho soldi da investire….
Io sono in attesa del TFS. A proposito, è anche singolare che le “azioni” si chiamino “azioni”. Vita contemplativa e vita attiva: la Televisione e la Borsa.