L’anno scorso, durante la stagione della caccia, mi è capitato di entrare in un bar vestito da cacciatore, per un caffè. Il barista mi ha rivolto uno sguardo carico d’odio, e mi ha servito il caffè con evidente disprezzo. Poi l’ho sentito mormorare alla moglie: “vorrei che un’animale potesse sparargli”. Sono sicuro che se fossi entrato tutto vestito di nero, con una pistola visibile sotto l’ascella, e con l’aria da killer professionista, nello sguardo del barista avrei intravisto paura, fascinazione, interesse, ma non odio né disprezzo. Un segno del crollo della differenza essenziale tra l’umano e l’animale, e addirittura della tendenziale supremazia dell’animale sull’umano, che è uno dei segni epocali nel nostro Occidente. Naturalmente, là in quel bar erano visibili tramezzini al prosciutto, al salmone, al granchio. Ma l’importante è che il morire dell’animale non sia mai reso visibile. Solo la visione, infatti, desta la falsa coscienza. Per questo, nessun programma tv mostra mai l’uccisione dei vitelli e dei maiali, delle cui carni tuttavia i nostri supermercati sono pieni. Le mamme cucinano quelle carni, mentre raccontano ai loro figli la storia di Cappuccetto Rosso in versione animalista, senza il cacciatore che uccide il lupo. Ma con il lupo che diventa buono (cosa mangerà in futuro, erba?).
Scrive Roger Scruton a p. 160 del Manifesto dei conservatori:
Nella misura in cui consideriamo le persone come animali, gli animali diventano a loro volta un problema per noi. Essendo discesi nella loro sfera, li guardiamo come guardiamo alle persone, ed è da qui che è sorto quello strano movimento – nel quale si è riversato un fervore che ha molto del religioso – per la “liberazione degli animali” e i “diritti degli animali”. Con una impegnativa argomentazione filosofica sarebbe possibile provare che gli altri animali sono metafisicamente diversi da noi e che, interpretata nel modo giusto, la vecchia opinione che noi, ma non loro, abbiamo un’anima è corretta – anche se il termine “anima” non dovrebbe costituire parte della prova.` È anche possibile mostrare come non ci siano elementi per attribuire diritti agli animali o per credere che abbiano desiderio o siano capaci di “liberazione”. Tuttavia, un’argomentazione filosofica non serve a dissuadere chi non capisce la questione, dal momento che le tesi filosofiche, a differenza delle convinzioni religiose, non diventano percezioni. Nella Lebenswelt, come la modella la religione, un animale e una persona occupano due nicchie diverse. Un animale non viene visto come un centro di individualità e di libertà; non è una fonte di vergogna o di giudizio; ma una parte normale del mondo empirico che condivide alcuni nostri sentimenti, senza aspirare mai al nobile, al vero o al buono. Da quella percezione degli animali scaturiva la vecchia moralità che ci proibiva di trattare le persone come animali, e viceversa: quando quella percezione si affievolisce fino a scomparire, la moralità tradizionale subisce la stessa sorte.
I diritti proliferano tanto più quanto più inconsistente o irreale è il loro fondamento. Non possono infine che generare conflitto e caos, crollo di ogni differenza e ritorno alla legge del più forte.
Niente da aggiungere. E ammetto di aver ceduto anch’io, fino a poco tempo fa, a questo abbaglio anti-venatorio in cui si mimetizza un panteismo sui generis.
e pensare che il mondo è pieno di cacciatori che si aggirano con il costume sbagliato….