Fedeli a oltranza

nai.jpgUn’idea di Naipaul che vedo riemergere in molte delle sue opere è quella della natura livellatrice, annientatrice delle altre culture, che sarebbe propria dell’Islam. Nel suo libro Fedeli a oltranza (Beyond Belief, 1998, trad. it. Carucci, Stecconi, Vergiani, Adelphi, Milano 2001) l’autore incontra molte persone, uomini e donne, in paesi islamici dall’Indonesia all’Iran, dalla Malaysia al Pakistan, e il quadro che ne esce è di desolazione spirituale e di fanatismo sempre più diffuso. Quello che riporto è un breve passo molto significativo. L’Islam, secondo Naipaul, taglia le radici. Mi viene in mente l’idea di Simone Weil, secondo la quale chi è sradicato sradica. E anche il suo concetto di un monoteismo deviato, che comporta non l’adorazione del Dio trascendente, ma della propria anima collettiva: il pericolo che corrono tutti i monoteismi “di popolo”.

L’annientamento delle antiche religioni — religioni lega­te alla terra, agli animali e alle divinità di posti o tribù parti­colari — operata dalle religioni rivelate è uno dei temi osses­sivi della storia. Anche quando i testi esistono, come per l’antichità romano-cristiana, è difficile individuare il mo­mento di passaggio. Ci sono solo indicazioni. È evidente che le religioni legate alla terra hanno dei limiti: offrono tutto agli dèi e molto poco agli uomini. Queste religioni ora ci attirano soprattutto per ragioni estetiche moderne; e an­che così, è impossibile immaginare una vita totalmente al loro interno. Le idee delle religioni rivelate — il buddhismo (se si può considerare tale), il cristianesimo, l’Islam — sono più ampie, più umane, in rapporto più stretto con ciò che gli uomini considerano il loro dolore, e in rapporto più stretto con una visione morale del mondo. Può anche darsi che le grandi conversioni, delle nazioni o delle culture, come quella dell’Indonesia, avvengano quando gli uomini non hanno più un’idea di sé, e non hanno i mezzi per capi­re e recuperare il passato.

La crudeltà del fondamentalismo islamico è che permette solo a un popolo — gli arabi, il popolo originario del Pro­feta — di avere un passato e luoghi sacri, pellegrinaggi e onoranze alla terra. Questi luoghi sacri arabi diventano i luoghi sacri di tutti i popoli convertiti. I convertiti devono sbarazzarsi del proprio passato; a loro non si chiede altro che una fede purissima (se è mai possibile una cosa simile): Islam, sottomissione. La forma più intransigente di imperialismo. (p. 92)

 Mi convinco però di una cosa: ci sono sempre stati molti Ebraismi, molti Cristianesimi, molti Islam. E non è detto che vinca sempre il migliore.

4 pensieri su “Fedeli a oltranza

  1. L’islàm viene percepito oggi come una strategia politica internazionale e una ideologia totalitaria dai tratti astratti e violenti, talvolta comparata all’ascesa sfolgorante – e tuttavia non-vista – del nazismo in Europa. Si tratta di una comparazione che, secondo alcuni osservatori, sarebbe errata, o perlomeno inadeguata. L’orda nazista anelava infatti a controllare e dominare sadicamente l’Occidente, l’orda dei cosiddetti “Fratelli musulmani” – sia in versione salafita sia in versione light e – per dirla con lo scrittore marocchino Tahar ben Jelloun, “decaffeinata” – ha invece come unica strategia la distruzione e l’annullamento.
    Il grido di “Allah o’Akbar” – Allah è il più grande – è oggi diventata l’invocazione identitaria e macabra, la folla litania che – secondo l’osservazione dello psicoanalista franco-tunisino Fethi Benslama – “si aggiudica il potere assoluto di distruggere, non risparmiando né la vita umana, né le istituzioni, né i testi, né la parola”. Obiettare che nel corso della storia si è irradiata devastazione in forza di altri nomi che pretendevano di portare la salvezza ai popoli ( cristianesimo, comunismo, imperi coloniali, ecc.) non potrebbe dar luogo ad alcuna consolazione. La civilizzazione islamica – al suo meglio al tempo dei califfi Omiadi , di Harun el Rashid e delle Andalusie spesso idealizzate da leggende dorate che parlano di un islàm multiculturale, civilizzatore e tollerante – è oggi al suo peggio, come dimostra l’attuale contesto storico e geopolitico. E’ dagli anni ’30 che la pressione ideologica della fede musulmana si esercita al suo più alto grado. Si verifica così un accaparramento della religione sia da parte degli Stati che dell’opposizione. In altre parole, non c’è più campo intellettuale nè una società civile consapevole dei pericoli di totalitarismo insiti in questo accaparramento dell’islam, che perde le funzioni spirituali e morali che una religione o din ( letteralmemte “debito” – verso il Creatore) dovrebbe svolgere, e si dà a ogni specie di attori sociali e di manipolazioni. In mancanza di un’autorità centralizzata che, come il Vaticano per il cattolicesimo, sia in grado di modere gli eccessi tipici delle ricorrenti “catastrofi del sacro” o delle varie forme di “religiosità psichica”, la deriva ideologica della religione islamica, refrattaria alla laicità ( che viene confusa con l’ateismo) e alle scienze dell’uomo e della società, non fa che sacralizzare l’ignoranza dei numerosi imam che la fomentano e la diffondono. Non esistono più, nell’islàm, teologi, o meglio giureconsulti, degni di questo nome. Ma insieme all’avanzata dell’islam ideologico dei barbuti e degli Stati islamici che oggi occupano la scena in mondovisione e li finanziano, esistono molti islàm con forme, culture e contenuti diversi gli uni dagli altri e in millenario conflitto tra loro. Fra questi, vi è un islàm meno fisso e contratto, certo minoritario, che si esprime nella memoria collettiva dei popoli ( quando questi sfuggono al discorso sacrale del potere e al “monoteismo” puro e duro), nelle timide speranze in una vita più libera e felice di una gioventù arabo-islamica, ma anche berbera, persiana, africana e sempre meno cristiana e copta – a causa delle esazioni e persecuzioni islamiste, insomma in una gioventù verdeggiante, a un tempo esaltante e oppressiva, in piena effervescenza; così come nelle espressioni artistiche e popolari di natura corporea come la danza e la musica, oltre che in opere come Le mille e una notte, i sublimi trattati di mistici come Ibn Arabi, al- Hallaj o Sorawardi, le poesie di Rumi, di Abu Nuwas, di Hafiz o di Omar Kayyam, per non citare che gli autori più celebri soprattutto da noi. Si tratta infatti di opere che circolano sempre meno nel mondo musulmano, dove fino agli anni settanta e ottanta si trovavano davanti alle moschee del Cairo, di Tunisi e di Baghdad, accanto alle numerose traduzioni in arabo del “Mein Kampf” , a diverse edizioni della “Vita del Profeta” ( provenienti in edizioni a buon mercato dall’Arabia Saudita), e delle opere di Sayyid Qutb
    ( uno dei principali ideologi del movimento islamista contemporaneo) , insieme alle prime manifestazioni integraliste sull’onda della vittoria della rivoluzione khomeinista in Iran e la fabbricazione di uomini, donne e bambini-bomba. Una peste verde, l’islam diventato ideologia, che – in concomitanza con altre fratture, come lo scoppio più recente dell’euro-peste – proietta il peggiore dei mondi a venire e ci obbliga a un compito d’integrazione, di compensazione e, si direbbe, di riparazione, tramite analisi pazienti.

  2. ERRATA CORRIGE: In mancanza di un’autorità centralizzata che, come il Vaticano per il cattolicesimo, sia in grado di moderaree gli eccessi tipici delle ricorrenti “catastrofi del sacro” o delle varie forme di “religiosità psichica”, la deriva ideologica della religione islamica, refrattaria alla laicità ( che viene confusa con l’ateismo) e alle scienze dell’uomo e della società, non fa che sacralizzare l’ignoranza dei numerosi imam che la fomentano e la diffondono.

  3. A proposito dell’’intreccio tra religione, società e civiltà. “Oggi – scriveva Lévi-Strauss nel 1955, in Tristi Tropici – è attraverso l’islam che contemplo l’India; quella di Buddha, prima di Maometto, il quale , per me europeo e perché europeo, si erge fra la nostra riflessione e le dottrine che gli sono più vicine come un rustico guastafeste che impedisce una ronda in cui le mani, predestinate ad allacciarsi, dell’Oriente e dell’Occidente, sono state da lui disgiunte. (…) I due mondi sono fra loro più vicini di quanto l’uno e l’altro non lo siano al loro anacronismo. L’evoluzione razionale è inversa a quella della storia. L’islam ha tagliato in due un mondo più civile .(…)
    Che l’Occidente risalga alle fonti della sua lacerazione: interponendosi fra il buddhismo e il cristianesimo, l’islam ci ha islamizzati (…). L’Occidente si lasciò trascinare dalle crociate ad opporglisi, e quindi ad assomigliargli, piuttosto che prestarsi a quella lenta osmosi col Buddhismo che ci avrebbe cristianizzati di più, e in un senso tanto più cristiano in quanto saremmo risaliti al di là dello stesso cristianesimo. E’ allora che l’Occidente ha perduto la sua fortunata possibilità di restare donna.” ( Claude-Lévi Strauss, Tristes Tropiques, Parigi, Plon, 1955, pp.472-473, la traduzione è mia).
    Sono le parole strazianti di un mitologo, che forse mitizza l’identità “aperta” dell’Europa vista come donna, ma che vanno prese sul serio. Esse ci dicono che un Occidente errante, disponibile, aperto e accogliente, avrebbe incontrato – attraverso la spada dell’ islam e quell’anacronismo disperato che è l’islam – l’interponente, per così dire, che le impedirebbe di realizzare il suo destino identitario di donna. Le parole di “Tristi tropici” ci dicono tutto questo e piangono un Occidente che non può raggiungere il suo Oriente estremo, né chiudere il cerchio dell’identità dell’identità e della differenza. Insomma, l’altro come disgrazia, come deviazione , dirottamento, sottrazione. D’altra parte, è anche vero che fattori di disconoscimento sembrano essere oggi all’opera di fronte agli orrori, ormai quasi quotidiani, del terrorismo islamico. In Europa si giunge fino a negare l’evidenza dell’aggressione islamista per vergogna, oppure a esagerarne le caratteristiche di “scontro delle civiltà”. D’altra parte, disorientare, colpevolizzare, sottomettere, stremare e avvilire è proprio ciò a cui mira la pratica del terrorismo jihadista. Nell’epoca dello squilibro del terrore, o si esagera o si minimizza. Spesso si distoglie lo sguardo per “non vedere”. Come notava Freud in “Disagio della civiltà”, scritto nel 1929, alle soglie dell’avvento sfolgorante, quindi non visto, del nazismo, attenersi letteralmente al precetto ama il prossimo come te stesso , mette solo in svantaggio rispetto a chi non se ne cura. ” Che immane ostacolo alla civiltà dev’essere la tendenza aggressiva – osservava Freud – , se la difesa contro di essa può rendere tanto infelici quanto la sua stessa esistenza!”
    E’ come se l’islam fosse il velo dell’Europa, di una donna che un maschio taglia via da se stesso. Un tale osservazione è tanto più rilevante se si considera – al seguito degli studi dello psicoanalista franco-tunisino Fethi Benslama – che “l’islam ha di fatto cercato di tagliarsi dalla propria femminilità originaria”, rimuovendo, velando e opprimendo l’alterità femminile e tutto quello che si mostra aperto, accogliente, democratico, cristiano – vale a dire altro dall’islam politico che oggi occupa e oscura la scena. Generando negli Occidentali violenza e collera, in taluni casi, e più in generale un indietreggiamento davanti a tali orrori , al punto che più spesso ci si rifugia in una ignoranza voluta utilizzando tutte le forme di diniego, di rifiuto psicologico, di minimizzazione e di disconoscimento.

  4. A proposito di Lévi-Strauss, ritrovo un passaggio, particolarmente delicato, di Tristes Tropiques :

    « C’était surtout l’Islam dont la présence me tourmentait (…). Déjà l’Islam me déconcertait par une attitude envers l’histoire contradictoire à la nôtre et contradictoire en elle-même: le souci de fonder une tradition s’accompagnait d’un appétit destructeur de toutes les traditions antérieures. » (Claude Lévi-Strauss, 1955).

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