Ho appena messo on line la traduzione dell’intervento di Jeremiah Alberg, “La lettera uccide ma lo spirito dà vita”, tenuto al Convegno CV&R di Ottawa dell’anno scorso. Comincia così:
Nella violenza c’è una letteralità che mi rende difficile parlarne. Sono corpi reali di gente reale, di solito i poveri, che vengono feriti e uccisi nelle case, per le strade e sui campi di battaglia. Non vorrei che le mie parole contribuissero in qualche modo ad una generale svalutazione di queste sofferenze realissime. Questo argomento è troppo serio per i trastulli di un accademico separato dalla realtà. Nondimeno, ho scelto di affrontarlo come atto di speranza. La speranza che sforzi come quello che si fa in questo convegno possano davvero aprirci alla verità intorno alla violenza e alla possibilità che essa venga infine vinta.
La risposta alla domanda su come il Cristianesimo superi la violenza è facile ed evidente, e si riduce a un semplice affermazione: non la supera. Non vi è affatto alcuna evidenza empirica che questa religione, per quanto antica e grande, abbia in qualche modo vinto la violenza. Se guardiamo alle aree del mondo che potremmo definire culturalmente cristiane, non notiamo, né lungo il corso della storia né ora, una qualche attenuazione della bellicosità.
In questo mio discorso sostengo che il Cristianesimo non vince la violenza. Qualsiasi vittoria sulla violenza sarebbe essa stessa violenta e cadrebbe preda del senso di colpa rispetto a quella stessa offesa che tentava di correggere. Essa sarebbe, in realtà, colpevole di una sorta di petizione di principio. Il mio proporre questo dilemma come problema logico non è casuale. Si tratta di cogliere un nuovo modo di pensare la relazione tra questa religione e la violenza. La mia idea è che il Cristianesimo si pone di fronte alla violenza nel modo in cui un’interpretazione figurale si pone davanti ad una letterale. Ma anche questo non è del tutto esatto. Sarebbe più vicino alla verità dire che la violenza impone ad un evento la propria interpretazione letterale, e il Cristianesimo offre un’altra, differente, interpretazione letterale, ma questa seconda interpretazione letterale è aperta ad un’interpretazione figurale. Ovvero il Cristianesimo consente alla violenza di permanere nel modo in cui un’interpretazione figurale consente a quella letterale la possibilità di permanere, sebbene ne riveli l’inadeguatezza e i limiti. In ogni evento violento vi sono la violenza stessa, l’interpretazione offerta dal potere dominante, e l’interpretazione della vittima. La differenza tra le due è una differenza nella concezione del significato, la concezione della relazione tra il segno e la cosa. Il potere dominante opera secondo una comprensione del sacrificio come modalità dominante del significare. I segni possono sostituire le cose ed essere scambiati al posto loro. Vi è qui un’economia della violenza in quanto la sostituzione e lo scambio implicano distruzione.
Il Cristianesimo consente che nuove possibilità, possibilità pacifiche, si aprano in situazioni violente.
Il resto qui: http://www.bibliosofia.net/files/Alb.htm
.”Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12)
Un versetto che sfida l’interpretazione.