Quattro casolari isolati (i Masi Bianchi) e una piccola comunità di agricoltori, su cui incombe la collina: lo scenario del romanzo di Jean Giono Collina (1929, pubblicato in Italia nel 1998 da Guanda) è piccolo e insieme grandioso, non solo per lo straordinario linguaggio, di strepitosa ricchezza, che è proprio dell’autore provenzale, ma per il potente senso di rivelazione sacrificale che si impone al lettore non ottuso. C’è un vecchio ottantenne che giace in fin di vita (Janet) per molti giorni nel suo letto, in una sorta di delirio lucido e malvagio, da cui traspare un fortissimo risentimento nei confronti del piccolo gruppo umano che lo circonda. Una volta ancora: l’odio non nasce dalla non-conoscenza reciproca, benedette creature! È qui il risentimento del malato verso i sani.
“Che cosa ti abbiamo fatto?” “Ve ne state sempre lì davanti ai miei occhi, con le gambe che si muovono, con le braccia come rami, con le pance piene; non vi è nemmeno passato per la testa di darmi un po’ della vostra vita. Un briciolo, non ne chiedevo molta, giusto per caricare la pipa e andarmi a sedere sotto l’albero” (p.71). Lui, il padre della comunità, appare, anche agli occhi degli altri, come dotato di un’arcana sapienza. “Lui sa, davvero, e tutto ciò che era oscuro si chiarisce; le cose che non si capivano si spiegano. Ma quello che in tal modo viene in luce è terribile” (p.76). Tutto si può riassumere in questo: la collina è viva ed è maligna.
Si susseguono incidenti sempre più gravi, che alla fine vengono interpretati come derivanti dal desiderio del vecchio morente di trascinare tutti con sé nella morte. La fontana non dà più acqua, la bambina si ammala, appare un misterioso gatto apportatore di sventura, una ragazza disonora il padre concedendosi all’idiota del villaggio. Dopo l’incendio, che ha minacciato di disintegrare e cancellare la comunità, la crisi sacrificale tocca il suo punto finale: tutti decidono di uccidere il responsabile della rivolta della collina, emblema del caos che minaccia la sopravvivenza del gruppo. Viene scelto un esecutore dell’omicidio destinato a risolvere la situazione, ma prima che il gesto sacrificale si compia Janet muore nel suo letto. Che non sia stato ucciso da mano d’uomo non è rilevante per il senso della vicenda, l’importante è che vi sia stata l’unanime decisione di uccidere. E, miracolo, appena il vecchio è morto la fontana torna a dare acqua, tutto si rasserena, la collina non è più una minaccia. L’ultima scena del romanzo è quella dell’uccisione di un cinghiale e della spartizione delle sue carni tra i membri del gruppo.
L’ha ribloggato su Brotture.