Una tristezza abissale, ma né sentimentale né lacrimosa, spira dalle pagine del romanzo di Ismail Kadaré Il crepuscolo degli dei della steppa (1981), edito in Italia da SEI nel 1982 nella traduzione di M. Varca e riedito nel 1993, che dipinge con sintesi mirabile le condizioni dell’alta cultura letteraria nella tarda Unione Sovietica. Terribile risalta il meccanismo persecutorio messo in atto nei confronti di Pasternak in occasione del conferimento del Nobel all’autore de Il dottor Zivago. Il conformismo e la pochezza morale degli intellettuali in queste pagine appaiono desolanti. I singoli sono stritolati dalla ragione di stato, come capita anche al protagonista albanese, che la crisi nei rapporti tra l’Unione Sovietica e il suo paese costringe a interrompere ogni rapporto con la ragazza russa che lo ama.
Intorno c’era il chiasso abituale di una serata danzante dell’Istituto Gorki, con quel colore particolare che viene dal contrasto tra la gloria eterna della letteratura ed i suoi rappresentanti viventi, che a tratti si mettevano a ballare goffamente, balbettavano o dicevano banalità. Sapevo che quelle serate avevano vera vita soltanto nelle prime ore, quando le ragazze erano ancora suggestionate all’idea di conoscere finalmente degli scrittori. E quei Goethe e quei Villon, i loro cavalieri, stavano loro intorno: ecco la gloria, vicinissima, dovevano soltanto voltare il capo. Le presento il mio amico Piotr Reutski, un poeta. Ha letto Il mattino delle betulle? L’autore è lui. Davvero? Sì, è proprio lui. E tutto questo veleggiava in un’aura di sottintesi, di illusioni che conoscendo gli scrittori si possa diventare un personaggio, magari acquisire il diritto di vedere le proprie iniziali in capo ad un poema o ad un racconto, per non parlare dei diari postumi, della corrispondenza intima, delle memorie, degli archivi.
Eravamo ancora nella prima metà della serata (perché nella seconda la verità si toglieva a poco a poco i veli, e arrivava il momento in cui le ragazze incominciavano a guardare i cavalieri con disprezzo e cercavano di sfuggire alle loro strette; capitava anche, come nel caso di Nutfulla Shakenov, che una schiaffeggiasse l’uomo di cui, due ore prima, sognava di vedere il nome unito al proprio per l’eternità, sul marmo della tomba, accanto ai versi che lui le avrebbe dedicato […] (p.55)