Un re senza distrazioni (1947 – edito in Italia da Guanda nel 1997, trad. F.Bruno) è il romanzo più inquietante di Jean Giono, l’autore de L’ussaro sul tetto. La vicenda, ambientata in un villaggio montano negli anni ’40 dell’Ottocento, è cupa e intricata, e narrata da più voci. Langlois, un poliziotto di provata esperienza, s’incarica di scoprire cosa sta dietro alcune misteriose sparizioni, e la caccia all’assassino innesca un processo che vede tre tappe fondamentali: uccisione del colpevole da parte di Langlois; caccia ad un grosso lupo, anch’esso ucciso da Langlois; attrazione del protagonista nel gorgo della crudeltà, nel senso più letterale: il fascino del cruor, il sangue che spiccia dalle ferite, e macchia il candido manto di neve, onnipresente nel libro.
Giono si è ispirato alla sezione dei Pensieri di Pascal intitolata “Miseria e grandezza dell’uomo”, in cui vi è un mirabile capitolo dedicato al divertissement. L’assassino del romanzo si rivela un re, in quanto uomo absolutus, chiamato a decidere di sé entro un vuoto metafisico. La noia come condizione esistenziale ha una cura sovrana: la violenza. La distrazione radicale è quella della caccia ad una vittima, della sua elezione gratuita e della sua esecuzione. Per Langlois, infine, uccidere un lupo od un uomo si manifesterà come la stessa cosa, poiché ogni vita, compresa la propria, ha un unico valore: zero. Il detective che scopre il serial killer in M.V. (Monsieur Voisin, ovvero Vicino), e lo elimina, scopre anche la vicinanza di tutti gli umani nella comune tendenza a curare l’assurdità della vita con la medicina del sangue versato.

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