Ho trovato interessante il romanzo La notte di Gerusalemme di Sven Delblanc (1983, edito in Italia nel 1988 e nel 1990 da Iperborea). La sua storia è ambientata presso le mura di Gerusalemme, mentre la città è assediata da Tito, nel 70 d.C. Il Vangelo non è qui chiamato in causa direttamente, ma se ne denuncia il fallimento. C’è un’eclisse di sole, che il narratore (la storia si presenta come una lettera scritta da un filosofo greco al servizio di Tito, Filemone di Megara) aveva previsto e che getta le superstiziose truppe romane nell’angoscia. La situazione è molto girardiana: la minaccia del caos esige una vittima, un capro espiatorio, il cui linciaggio unanime restaurerà l’ordine umano. Lo si troverà nel vecchio Eleasar, che fu seguace di Gesù, ma che ora ha perso la fede. Sarà crocifisso come il maestro, e come lui pronuncerà parole che nessuno comprende, ma che ci appaiono essere di totale disperazione. Probabilmente, Delblanc ha presente quel fatidico testo di Jean Paul (vedi il mio Divenire nulla) in cui si manifesta l’immane vuoto e insensatezza del mondo senza Dio. Eleasar racconta a Tito di aver visto Dio. «Ma questa visione non mi aiutava a recuperare la fede. Dio è: è vero, è così immensamente più grande del Dio di Israele. È troppo grande per poter vedere e capire i nostri bisogni terrestri. Siamo un granellino di polvere nel suo occhio, niente di più, un granellino che si illumina, quasi per caso, nel raggio solare del tempo che trascorre, ma che non esiste per lui e per il suo eterno presente. E quelli che chiamiamo i suoi profeti sono nostre creazioni, fatte per essere acclamate da noi e crocifisse da noi, per essere innalzate e umiliate, mentre il creatore eterno è ed è soltanto».

L’ha ribloggato su Brotture.