Betsabea, di Torgny Lindgren (1984, edito in Italia da Iperborea nel 1988 e riedito nel 1994) testimonia del sempre vivo interesse che la letteratura dei paesi del Nord, che furono molto luterani, e ora sono molto secolarizzati, nutre per l’ambiente biblico. Misurarsi coi personaggi della Bibbia e dei Vangeli costituisce un’impresa audace per un narratore novecentesco o post-novecentesco, come si è visto anche in Italia dalla poco convincente prova offerta da La notte del lupo di Sebastiano Vassalli e da altri romanzi precedenti di altri autori.
In effetti, i grandi scrittori religiosi, da Manzoni a Dostoevskij a Bernanos, ecc., non affrontano mai direttamente i personaggi biblici: la loro sapienza lo impedisce. Negli ultimi due secoli scrivere un romanzo ambientato nell’antichità è in verità un’impresa sconsiderata, e i risultati sono spesso deprimenti o ridicoli. Perfino la Salambô di Flaubert ci lascia delusi e scontenti. E questo perché gli studi antropologico-storici ci mostrano che gli antichi erano molto diversi da noi, mentre l’interesse della narrazione, per sua intima costituzione, ce li deve presentare simili, anzi ce li deve far vedere proprio uguali a noi. I romanzi storici antichi che si continuano a scrivere oggi, per quanto sperimentali (vedi Antiche sere di Norman Mailer) soddisfano un pubblico di massa, o un certo numero di intellettuali cultori della spazzatura letteraria. La Betsabea di Lindgren è la famosa donna la cui bellezza spinge il re David all’omicidio, da lui duramente pagato, come ci narra la Bibbia, che però della donna dice poco. Lindgren ne fa da un lato una sorta di sensualissima lady Macbeth, dall’altro una donna che è modernissima nella sua autocoscienza. David è ridotto, di contro, ad una specie di forza della natura, tutto corporeità e sensualità (me lo vedo interpretato da un Anthony Quinn). Dio ovviamente appare come una mera proiezione del desiderio umano. Il libro ha avuto molto successo in Francia, ricevendo il Prix Fémina. Mah.

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