Lady Anna (1871, trad. italiana di R. Ceserani, Sellerio 2011) porta al massimo grado la tensione, onnipresente in Trollope, tra la borghesia emergente e l’aristocrazia tradizionale inglese. Storia di un amore interclassista, è soprattutto la narrazione del rapporto triadico d’amore e di risentimento tra la ragazza Lady Anna Lovel, sua madre e il fidanzato della giovane, che è un semplice artigiano, un sarto, animato da profondo odio per la nobiltà tanto quanto la madre di Anna vede nella distinzione rigida tra le classi il principio cardine dell’ordinamento del mondo. Tre personaggi inflessibili nel perseguimento dei loro obiettivi, circondati da una umanità variegata, in cui non mancano i tessitori di soluzioni ragionevoli, i sostenitori di compromessi e saggi aggiustamenti negoziali. Trollope grandissimo, come sempre, nel gestire la trama e creare caratteri, catturando l’attenzione di lettori lontani dal suo mondo vittoriano e annullando l’abisso temporale e valoriale.
Trollope
La vita oggi
Le ultime cronache del Barset
Le ultime cronache del Barset (The last chronicle of Barset, 1867, trad.it di R. Cazzullo, Sellerio 2009) è l’ultimo romanzo del Ciclo del Barset, ed è anche un vasto romanzo di oltre mille pagine. Delle doti di Trollope come narratore e del suo sguardo “quasi manzoniano” ho già detto altrove. Qui si ritrovano (alcuni di sfuggita) molti dei personaggi già conosciuti in altri libri del ciclo, a cominciare dall’ex Amministratore Harding, per proseguire con l’Arcidiacono Grantly e sua moglie e con il Vescovo Proudie e la terribile consorte. Ma anche il personaggio chiave di questa storia, il Reverendo Crawley, erudito poverissimo dal carattere impossibile, lo avevamo già incontrato, come moltissimi altri. Continua a leggere
Un’autobiografia
Un’autobiografia di Anthony Trollope (An autobiography, trad. it. di A. Manserra, Sellerio 2008), si potrebbe anche intitolare Il romanziere come produttore disciplinato. Il fecondo Trollope intese la scrittura come un mestiere da svolgere con metodo e disciplina ferrei, con una programmazione dei tempi e del numero delle parole da scrivere ogni giorno. Qualcosa di davvero affascinante, il contrario dell’artista come genio e sregolatezza. C’è poco in questo libro (ma molto interessante) della vita personale, per lo più legato al lavoro per le Poste Reali, ma molto dell’arte e della scrittura. Con pagine assai gustose, con i rapporti con gli editori e la critica del tempo. Queste righe per i giovani scrittori mi piacciono molto.
Ma falliscono anche molti giovani, perché si affannano a raccontare storie quando non hanno nulla da raccontare. E ciò è la conseguenza della pigrizia piuttosto che di una innata incapacità. La mente non è stata abbastanza all’opera quando si è iniziata la stesura della storia, né la si tiene sufficientemente in esercizio nel procedere col racconto. Non mi sono mai dato molta pena per la costruzione di una trama, e ora non voglio insistere in modo particolare sulla precisione in un settore lavorativo in cui io stesso non sono stato molto preciso. Non sono sicuro che la costruzione di un intreccio perfetto sia mai stata alla mia portata. Ma il romanziere ha altri obiettivi oltre a quello di svelare una trama. Desidera far conoscere ai propri lettori i suoi personaggi così intimamente da far sì che le creazioni della sua mente siano per loro esseri umani che parlano, si muovono, vivono. Questo non lo potrà mai fare a meno che egli stesso non conosca bene quei personaggi fittizi, e non li potrà mai conoscere bene se non riesce a vivere con loro nella piena realtà di una radicata intimità. Devono essere con lui quando va a dormire e quando si sveglia dai sogni. Deve imparare a odiarli e ad amarli. Ci deve conversare, litigare, li deve perdonare, e si deve persino sottomettere a loro. Deve sapere se sono freddi o passionali, se sono sinceri o falsi, e quanto sinceri e quanto falsi. Di ognuno di loro deve essergli chiara la profondità e l’elevatezza d’animo, la meschinità e la superficialità. E così come sappiamo che, nella realtà, gli uomini e le donne cambiano – diventano peggiori o migliori a seconda che la tentazione o la coscienza li guidino –, allo stesso modo dovrebbero cambiare le sue creature, e ogni cambiamento dovrebbe essere da lui rilevato. L’ultimo giorno di ogni mese raccontato, ogni personaggio del suo romanzo dovrebbe essere di un mese più vecchio. Se l’aspirante romanziere ha tali attitudini, tutto ciò gli riuscirà senza troppo sforzo; ma in caso contrario credo che egli potrà scrivere solo dei romanzi legnosi. È così che ho vissuto con i miei personaggi, e da ciò è arrivato il successo, quale che sia, che ho ottenuto. Esiste una galleria di miei personaggi, e di ognuno posso dire di conoscere il tono della voce e il colore dei capelli, ogni fiamma degli occhi e persino i vestiti stessi che indossano. Di ogni uomo sarei in grado di dire se potrebbe aver pronunciato tali o tal’altre parole; di ogni donna, se in un dato momento avrebbe sorriso o si sarebbe accigliata. Quando mi renderò conto che è cessata questa intimità, allora saprò che è venuto il momento di mandare il vecchio cavallo a pascolare. Che riuscirò a rendermene conto quando arriverà il momento, non lo posso proprio dire. Non so davvero se sono molto più saggio del canonico di Gil Blas; ma so che senza questa capacità un romanziere non può raccontare storie con buoni risultati. (pp. 243 – 244)
Eros e amicizia
Ho appena terminato di leggere due libri che sembrano avere poco in comune: il romanzo di Anthony Trollope Il dottor Thorne, edito da Sellerio, e il Carteggio Cristina Campo – Alessandro Spina, edito da Morcelliana. Ma questi libri mi hanno fatto riflettere su molte cose, e in particolare sulla questione del rapporto tra eros e amicizia, e soprattutto sulla differenza tra i due.
Il dottor Thorne fa parte del ciclo del Barsetshire, questa contea immaginaria ma verosimile, e un primo motivo di godimento nella sua lettura sta proprio nella ciclicità come costruzione di un mondo parallelo, con numerosissimi personaggi che l’arte di Trollope rende vivi. Ma qui come sempre l’intreccio si fonda su una storia d’amore che le convenzioni sociali ostacolano in quanto l’amore richiede il matrimonio, e l’aristocrazia inglese non accetta un connubio tra sangue nobile e ignobile (a meno che questo non sia assistito da Mammona). La struttura narrativa è qui quanto mai tradizionale, coi due giovani il cui amore supera ogni ostacolo fino all’agnizione finale, con la povera che scopre di essere divenuta una ricca ereditiera e i nobili spocchiosi che s’inchinano al potere del denaro. Ma quel che mi interessa è l’eros. In questo contesto vittoriano esso è tanto poco ostentato quanto lo è l’amicizia. Tutto ciò che è sentimento deve essere socialmente controllato, e in particolare la passione deve essere soffocata, contenuta, o addirittura negata. La cultura dominante essendo tuttavia quella post-romantica, vi è un evidente problema di gestione del conflitto tra il principio dell’ordine sociale vigente e la stessa cultura letteraria e musicale che entro quell’ordine si sviluppa. Oggi è costume diffuso deprecare e disprezzare l’ordine vittoriano. Mi chiedo come appariremo noi agli occhi dei posteri.
Nel Dottor Thorne il tema dell’amicizia virile e femminile, con le loro differenti modalità, è ampiamente presente, mentre l’eros appare appena suggerito (anche se mi pare che nel brevissimo bacio dei due innamorati sia più potente che in una delle tante scene di sesso della nostra letteratura attuale). E appare anche la differenza tra l’amicizia tra diseguali e quella tra eguali, e la conferma che solo tra eguali (per sesso, età e tendenze) l’amicizia può essere piena, come già sapevano gli antichi. Ripenso alla mia amicizia con Alberto Gallas, che ha profondamente segnato la mia esistenza, facendomi tra l’altro capire l’assoluta estraneità tra l’amicizia stessa e l’eros. Questo implica il possesso, e non è mai puro, l’amicizia invece si realizza esattamente nell’apertura e nell’esclusione del possesso. La philia è vicina all’agape assai più che all’eros. Uno può essere servo d’amore, ma non di amicizia. “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15).
Uno dei segni più negativi della nostra epoca è l’oblio dell’amicizia, che ovunque si accompagna al trionfo dell’eros.
Di eros non si può cogliere neanche una stilla nel Carteggio tra Alessandro Spina e Cristina Campo, pubblicato da Morcelliana. Due scrittori che si ritraggono dietro pseudonimi, Spina del suo vero nome ancor più geloso. Del ritrarsi, intitolerei uno scritto su questi due autori. Tra di loro l’amicizia può essere solo parziale, e il Lei che continuano a darsi fino alla fine del carteggio mi piace e commuove. Si scrivono molto di libri, soprattutto quelli di Spina. Non trovo quel che speravo, un confronto tra le visioni del mondo, un qualcosa che trascendesse la letteratura. Forse le cose più serie se le saranno comunicate a viva voce. E certo, trovo in queste pagine una tremenda malinconia: la Campo sempre malata e sofferente, Spina di fronte al vuoto, e con la morte a fianco, e con la tentazione del suicidio. Sui letterati italiani contemporanei i due si scambiano battute annientanti:
(Tonio Kröger è nascosto nell’ombra, meglio così. Ciò che mi rende estranei quasi tutti i nostri intellettuali è la loro assoluta incapacità di percepire ancora il ritmo in tre tempi della vita. Sono veramente polvere. Nella camera-tomba in cui sono sepolti non giungono che urli e rumori. Insieme a Tonio, sulla veranda, ci sono tutti i personaggi della Città di Rame, guardano con gli stessi occhi, gli stessi sguardi avidi e affrettati. Un intellettuale italiano si annoierebbe. Bisogna, carissima, scrivere solo per i morti). (p. 117)