NOTTE DI GIUGNO

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Non potevamo dire sì, partiamo,
e neanche no, restiamo. Dove?
Siamo piccoli, e adesso siamo morti.
Uomini forti ci tengono in braccio.
Il mare di notte ci ha fatto paura,
tutti intorno dicevano a Dio aiutaci,
ma lui non ha ascoltato,
le mani di mamme e papà si sono aperte,
noi siamo stati un po’ nel freddo mare,
e poi a riva, non quella della vita.

(ai bambini morti nel mare di Libia, 2018)

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(E)MIGRANTI

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Questione di prefissi. Avete notato il diverso lessico? Quelli di destra parlano sempre di IMmigrazione e di IMmigrati (solitamente clandestini), quelli di sinistra di migrazione  e di migranti. Certo non è un caso, come non è un caso che ben pochi parlino di Emigrazione e di Emigranti. La cosa può essere considerata sotto diversi punti di vista, e qui ne richiamo solo uno.
Secondo me, la destra usa il suffisso IN perché il suo sguardo è concentrato sul territorio-comunità-cultura da difendere: gli IN-migrati sono coloro che sono entrati nel nostro spazio (e non dovevano farlo), in sostanza sono invasori da controllare e respingere. La sinistra, di contro, vede con sospetto tutto quello che ruota intorno a identità e radici, e ama il mutamento, il meticciamento, il cambiamento e la sovversione. Scomparso il proletariato marxiano, essa ne cerca un sostituto, e lo trova nelle masse dei migranti. Senza IN, perché essa ama il movimento, non lo stabilirsi, il fissarsi entro confini, il radicarsi. Ma anche senza E. Per opposte ragioni, destra e sinistra hanno bandito la parola Emigrazione. Quella E rimanda infatti all’origine, ad una radice che né la destra né la sinistra vogliono vedere e davvero comprendere.

Ultra-destra contro Verdi

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Il leader del partito della Libertà (FpOe) Norbert Hofer sfiderà il verde Van der Bellen al ballottaggio del prossimo 22 maggio. Che per la prima volta nella storia dell’Austria non vedrà nessun candidato dei Socialdemocratici e dei Popolari. Potremmo paragonare, fatte salve le differenze, il prossimo ballottaggio  per l’elezione del presidente dell’Austria ad un’italica competizione Salvini-Grillo. Chi ama un approccio meditato e razionale alle grandi questioni politiche  potrebbe rabbrividire, ma i tempi sono questi. L’Europa si sta sfaldando proprio nel momento in cui dovrebbe rinsaldarsi. Le élites europee negli ultimi anni hanno ampiamente sottovalutato il peso emotivo esercitato sulle masse europee da una immigrazione musulmana di massa . Hanno anche dimostrato di non conoscere nulla della persistenza secolare di memorie di scontri di civiltà. (Vienna, in particolare, venne assediata due volte da un esercito turco musulmano, nel 1529 e nel 1683.) Nello stesso tempo, dobbiamo ricordare come tra Germania e Turchia ci furono momenti importanti di alleanza politico-militare,  soprattutto nella Prima Guerra Mondiale in cui Turchi, Tedeschi e Austriaci combatterono contro Francesi e Inglesi (e Italiani). La grande storia è un intreccio, che spesso forma nodi di Gordio. Dalla Crisi dei Migranti l’Europa uscirà con le ossa rotte, e certo con meno democrazia, questo è certo.

I migranti come i Troiani?

12923372_985609584807975_2602330607358611950_nDistinguo i discorsi che oggi si fanno sulla questione migranti in due fondamentali categorie, che prescindono dall’orientamento politico generale di chi li fa: quella dei discorsi semplici e rozzi, e quella dei discorsi argomentati e fondati. Ovviamente, nel circuito mediatico prevalgono di gran lunga i primi. Personalmente, credo di essere una persona razionale con una visione tragica dell’esistenza (che non significa banalmente pessimistica). Sul grande fenomeno di migrazione in corso non assumo posizioni viscerali, ma vedo chiaramente la problematicità estrema della questione. E se mi capita di criticare severamente certa faciloneria della sinistra progressiva è perché vorrei una sinistra più capace di critica seria e meno bisognosa di mitologie.
Ogni tanto mi capita di sentire discorsi sull’immigrazione in cui l’intellettuale di sinistra di turno dice cose incredibili, che confermano la mia convinzione che i saperi specialistici, cioè gli unici che oggi abbiano un valore, non esentino chi li possiede, quando esce dal loro campo ristretto, dall’incorrere in errori e fare figure pietose. Ad esempio, ecco che alcuni, per dire che la migrazione c’è sempre stata, e due o più popoli mescolandosi hanno prodotto nuove bellissime civiltà, si rifanno all’Eneide e alla sua narrazione dell’arrivo in Italia dei Troiani profughi da Troia distrutta. Come dire: accogliamo i Siriani e gli altri, perché fondendosi con gli Europei daranno vita ad una nuova civiltà. Mai fu scelto esempio più infelice.
In primis, i Troiani che nell’Eneide sbarcano nel Lazio sono guerrieri, e non sono certo ben accolti da tutti. La seconda parte del poema di Virgilio, infatti, è la descrizione di una guerra così violenta e atroce da far impallidire quella cantata da Omero. Il sangue scorre a fiumi: il poema termina col duello di Enea e Turno, con la morte di quest’ultimo.
In secondo luogo, l’orizzonte religioso di Troiani, Greci e Latini è lo stesso: un paganesimo che può integrare tranquillamente le divinità minori di ciascuna tradizione. La guerra tra Troiani e Latini non è uno scontro di civiltà, come non lo è quella precedente tra Troiani e Greci. Essi non si vedono come diversi ma come rivali, che è tutta un’altra faccenda. Il loro essere sostanzialmente uguali non attenua lo scontro, anzi lo determina e lo rende più feroce.
Infine, Virgilio vede la vicenda dei Troiani come il seme dell’impero di Roma, un impero basato sulla forza, inserito in un ciclo immenso di lotte tra popoli e potenze: i Greci distruggono Troia, i Troiani vincono i Latini e si fondono con essi generando Roma, Roma soggioga la Grecia vendicando i Troiani.
Conclusione: prima di evocare Enea profugo e i Troiani, si leggano tutti i libri dell’Eneide e si rifletta.

Pensare la catastrofe

658317_migranti-migranti-madjarska-madjarska-granica-13reutersfoto-reuters_fI morti non sono tutti uguali. Evidenza assoluta. Meglio ancora: la gerarchia tra i morti è più nettamente segnata che tra i vivi. Dal punto di vista dei vivi, ovviamente. Anche tra le migliaia di bambini che ogni giorno nel mondo patiscono violenza e sono uccisi ci sono grandi differenze: della maggior parte di loro nulla sapremo mai, non sono individualità, sono senza volto e senza storia. Non esistono. Qualcuno, ogni tanto, e per ragioni mediatico-politiche, viene assunto nella sfera quasi-onnipotente dei media occidentali, e caricato di un significato pesantissimo. Perché ciò possa avvenire, condizione necessaria è che vi sia implicato l’Occidente, col suo senso di colpa ipocrita, e che la morte avvenga entro la sfera occidentale in senso geograficamente stretto. Se la foto che circola è di un bambino ucciso in Iraq, mediaticamente non vale molto, nessuno si commuove. Se è di un bambino massacrato in una guerra tribale in Africa non vale nulla, come se gli Africani fossero sotto-umani, gente irresponsabile (è cambiato poco rispetto alla visione ottocentesca colonialista, anche ora diventano pienamente umani solo se vengono a stare da noi). Se la foto è di un bambino morto sulla riva del nostro mare, per colpa dell’Europa, può anche valere moltissimo, dal punto di vista emotivo ci si sente giustificati a sbatterlo in prima pagina. A usarlo come un’arma per risvegliare le coscienze. In questi giorni assistiamo al trionfo della coscienza risvegliata come falsa coscienza, e ad un duplicarsi e moltiplicarsi scatenato dei capri espiatori: quello di uccidere bambini è un crimine reale, che tuttavia è spesso stato attribuito ai nemici, usandolo come un’arma estrema di propaganda e di lotta politica. È bene ricordarlo.
Pensare la catastrofe, occorre. È esattamente quello che l’Europa occidentale, e l’Italia più di qualunque altra nazione, non è assolutamente, e costitutivamente, in grado di fare. L’Italia non è in grado di pensarla nemmeno costituzionalmente, per dir così, se la catastrofe è causata dalla guerra. Perché il popolo italiano è stato convinto che l’Italia “ripudia la guerra”, in senso assoluto (il che è falso, perché la Costituzione ripudia solo un certo tipo di guerra), noi non siamo capaci di pensarla propriamente, nemmeno la guerra degli altri: davanti ad essa siamo colti da un moto delle viscere, da uno spasmo d’orrore che ci paralizza il pensiero, da un rifiuto che ci fa guardare altrove. Non potendo pensarla, non possiamo nemmeno agire adeguatamente. Ma la catastrofe che incombe ora è un lato della guerra presente, in atto molto vicino a noi. Le quote di profughi di cui si sta parlando sono risibili: sembra che le classi dirigenti europee ritengano che i flussi rimarranno costanti, e dunque che non vi sia una catastrofe, mentre la situazione politico-militare nell’area mediorientale e sud-mediterranea sta esplodendo. Se l’islamismo più radicale trionfasse in Libia, la Tunisia sarebbe sicura? Solo un ingenuo potrebbe pensarlo. E solo un ingenuo può ritenere che l’Algeria sia un Paese destinato a rimanere tranquillo e ad avere uno sviluppo del tipo che piace agli occidentali. Pensare di poter governare la catastrofe-guerra con i mezzi amministrativi impiegati ora, mentre risulta chiaro che bastano poche migliaia di profughi siriani (imprevisti) a far saltare gli equilibri tra gli Stati, è mera insensatezza. Quali sono i piani dell’Europa in caso di vittoria dell’ISIS in Libia? Perché infine il bambino morto sulla spiaggia di cui tutti parlano si chiama Aylan Kurdi, e la famiglia è di Kobane. Questo dice qualcosa? Di questo i media hanno parlato poco, o nulla, perché non hanno memoria. E la politica dei nostri alleati turchi verso i Curdi potrebbe essere causa di ulteriori fughe di massa verso l’Europa, che non pensa la catastrofe, spera nella diplomazia, lascia il campo libero a Sauditi e Turchi, e a qualche drone americano.

Sui fatti di Quinto di Treviso

Ciò-che-resta-delle-suppellettili-destinate-ai-profughi-e-bruciate-dai-residenti-di-Quintodi-TrevisoLa visione di roghi di materassi e suppellettili è una visione che desta sentimenti forti: di angoscia anzitutto, perché ogni rogo è sempre evocatore di violenza, e non di violenza individuale: evoca violenza di massa, come ben sapeva Elias Canetti, che ne parla in modo insuperato in Mass und Macht. Ma quel che è avvenuto nei giorni scorsi a Quinto di Treviso andrebbe analizzato con sobrietà, senza cedere a moti di pancia, e senza utilizzare la categoria di razzismo come una clava. Nel tessuto sociale della provincia di Treviso, infatti, le manifestazioni autentiche di razzismo virulento sono estremamente rare, e la violenza di bianchi contro neri, nordafricani o cinesi è quasi del tutto inesistente. D’altra parte, il fondarsi sulla propria percezione e sulla propria personale esperienza può essere fuorviante, come è fuorviante la convinzione di conoscere a fondo quella realtà imponderabile e sfuggente che è l’anima profonda di una popolazione, ammesso che esista. La presenza di formazioni di estrema destra in Veneto è paragonabile a quella di altre parti d’Italia, e ha carattere parassitario: si manifesta solo là dove viene offerta una occasione su piatto d’argento, come una piaga che attira le mosche carnarie. In questo senso, la decisione della prefetta Maria Augusta Marrosu di collocare 101 giovani uomini non identificati negli appartamenti sfitti di un condominio nella periferia di Quinto è stata una manifestazione di pura insensatezza. E non a caso ho scritto 101 giovani uomini non identificati e non 101 neri. Qui infatti non abbiamo un caso di semplice razzismo anti-africano. Un vero razzista è quello che non accetta che nell’appartamento accanto al suo viva una famiglia di neri. Qui, invece, se gli appartamenti fossero stati comprati o presi in affitto da famiglie di persone africane, come accade in vari condominii della provincia, non sarebbe accaduto assolutamente nulla. Lo stesso allarme, di contro, sarebbe stato generato dalla collocazione in quegli appartamenti, con le stesse modalità, di 101, che so, ucraini biondi e aitanti ma senza documenti di identità. Perché sono il numero alto di giovani maschi adulti e la loro identità sconosciuta anche allo Stato i due fattori di allarme dei residenti, nei confronti dei quali lo Stato stesso dimostra il massimo disprezzo. E questo è un elemento altamente destabilizzante, in un territorio in cui il sentimento antiromano è molto forte. Uno dunque è portato a chiedersi se a Roma siano idioti, e a rispondere di sì. Perché questo è sicuramente vero, che nelle periferie delle nostre città vi è un forte senso di insicurezza, avvertito particolarmente dai ceti medio-bassi, che una classe politica avveduta non lascerebbe mai nelle mani di forze eversive o para-eversive. Ma la gestione della cosiddetta emergenza immigrati dimostra, già solo con la denominazione emergenza, che la nostra classe politica avveduta non è.

La vergogna di Lampedusa

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Il Papa riferendosi all’evento di Lampedusa parla di “vergogna”. La vergogna per sé è un sentimento pre-morale, che può totalmente prescindere dal sentirsi colpevole e responsabile per gli altri. La vergogna colpisce chi non si sente all’altezza dei suoi competitori, chi vede infangato l’onore suo e della famiglia, chi viene deriso, chi vede rivelata agli occhi dell’altro la propria debolezza. Peccato e colpa sono una cosa, vergogna un’altra. Non c’è dubbio, tuttavia, che per l’Italia Lampedusa costituisca qualcosa di cui vergognarsi, perché la nazione ancora una volta vede la sua debolezza messa in luce agli occhi del mondo. E come un bambino incapace di difendersi da solo o di risolvere un problema strilla invocando la mamma, così la fragile Italia non sa far altro che strillare invocando mamma Europa, una mamma arida e assente.