I morti non sono tutti uguali. Evidenza assoluta. Meglio ancora: la gerarchia tra i morti è più nettamente segnata che tra i vivi. Dal punto di vista dei vivi, ovviamente. Anche tra le migliaia di bambini che ogni giorno nel mondo patiscono violenza e sono uccisi ci sono grandi differenze: della maggior parte di loro nulla sapremo mai, non sono individualità, sono senza volto e senza storia. Non esistono. Qualcuno, ogni tanto, e per ragioni mediatico-politiche, viene assunto nella sfera quasi-onnipotente dei media occidentali, e caricato di un significato pesantissimo. Perché ciò possa avvenire, condizione necessaria è che vi sia implicato l’Occidente, col suo senso di colpa ipocrita, e che la morte avvenga entro la sfera occidentale in senso geograficamente stretto. Se la foto che circola è di un bambino ucciso in Iraq, mediaticamente non vale molto, nessuno si commuove. Se è di un bambino massacrato in una guerra tribale in Africa non vale nulla, come se gli Africani fossero sotto-umani, gente irresponsabile (è cambiato poco rispetto alla visione ottocentesca colonialista, anche ora diventano pienamente umani solo se vengono a stare da noi). Se la foto è di un bambino morto sulla riva del nostro mare, per colpa dell’Europa, può anche valere moltissimo, dal punto di vista emotivo ci si sente giustificati a sbatterlo in prima pagina. A usarlo come un’arma per risvegliare le coscienze. In questi giorni assistiamo al trionfo della coscienza risvegliata come falsa coscienza, e ad un duplicarsi e moltiplicarsi scatenato dei capri espiatori: quello di uccidere bambini è un crimine reale, che tuttavia è spesso stato attribuito ai nemici, usandolo come un’arma estrema di propaganda e di lotta politica. È bene ricordarlo.
Pensare la catastrofe, occorre. È esattamente quello che l’Europa occidentale, e l’Italia più di qualunque altra nazione, non è assolutamente, e costitutivamente, in grado di fare. L’Italia non è in grado di pensarla nemmeno costituzionalmente, per dir così, se la catastrofe è causata dalla guerra. Perché il popolo italiano è stato convinto che l’Italia “ripudia la guerra”, in senso assoluto (il che è falso, perché la Costituzione ripudia solo un certo tipo di guerra), noi non siamo capaci di pensarla propriamente, nemmeno la guerra degli altri: davanti ad essa siamo colti da un moto delle viscere, da uno spasmo d’orrore che ci paralizza il pensiero, da un rifiuto che ci fa guardare altrove. Non potendo pensarla, non possiamo nemmeno agire adeguatamente. Ma la catastrofe che incombe ora è un lato della guerra presente, in atto molto vicino a noi. Le quote di profughi di cui si sta parlando sono risibili: sembra che le classi dirigenti europee ritengano che i flussi rimarranno costanti, e dunque che non vi sia una catastrofe, mentre la situazione politico-militare nell’area mediorientale e sud-mediterranea sta esplodendo. Se l’islamismo più radicale trionfasse in Libia, la Tunisia sarebbe sicura? Solo un ingenuo potrebbe pensarlo. E solo un ingenuo può ritenere che l’Algeria sia un Paese destinato a rimanere tranquillo e ad avere uno sviluppo del tipo che piace agli occidentali. Pensare di poter governare la catastrofe-guerra con i mezzi amministrativi impiegati ora, mentre risulta chiaro che bastano poche migliaia di profughi siriani (imprevisti) a far saltare gli equilibri tra gli Stati, è mera insensatezza. Quali sono i piani dell’Europa in caso di vittoria dell’ISIS in Libia? Perché infine il bambino morto sulla spiaggia di cui tutti parlano si chiama Aylan Kurdi, e la famiglia è di Kobane. Questo dice qualcosa? Di questo i media hanno parlato poco, o nulla, perché non hanno memoria. E la politica dei nostri alleati turchi verso i Curdi potrebbe essere causa di ulteriori fughe di massa verso l’Europa, che non pensa la catastrofe, spera nella diplomazia, lascia il campo libero a Sauditi e Turchi, e a qualche drone americano.
