IMAGINES
È lei!
Sto leggendo Ninfa moderna di Georges Didi-Huberman, e mi capita di rivedere a p. 19 una riproduzione in bianco e nero del famoso Baccanale di Tiziano. Rimango colpito dalle fattezze della baccante addormentata. Dove ho visto quella donna? Poi mi ricordo, perché l’ho vista da poco: nell’affresco perduto del mio trisavolo Giuseppe Ghedina Bagno a Pompei. È sempre lei! Mi ero già accorto che le due figure più sensuali dell’opera di Ghedina, l’una abbandonata totalmente nell’acqua, a sinistra, l’altra che ne emerge parzialmente, sono la stessa donna. Ma questa donna è la baccante di Tiziano. È di una evidenza assoluta. Del resto, Tiziano era venerato dai Ghedina, e Giuseppe disegnò anche il basamento ottagonale per la statua di Tiziano che fu eretta in Pieve di Cadore.
Brucia, ragazzo, brucia…
Il pro-pro-prozio Luigi
Il mio pro-pro-prozio Luigi Ghedina, fratello del mio trisavolo Giuseppe, costituisce con lui la più importante coppia di pittori ampezzani dell’Ottocento. Qui si vedono due quadri di Luigi, Il capriolo ucciso sulla neve e Il cacciatore. Il cacciatore in realtà è lui stesso. I Ghedina avecano una casa di caccia nei dintorni di Fiames. Beati loro. Mi sa che il gene del cacciatore per li rami mi deriva da Luigi.
Inizio
Sono nato il 28 dicembre 1950, a Zero Branco, alle ore 13 e al modo antico: in casa, estratto col forcipe dal medico condotto. Venti giorni dopo sono stato inserito nella Christianitas mediante il battesimo degli infanti. Qui mi si vede uscire dalla chiesa in braccio al mio padrino, Elvio Petrovich. Oggi la Christianitas non esiste più, e il battesimo degli infanti sopravvive come una sua reliquia. Esiste ancora il Cristianesimo, in Italia essenzialmente come Cattolicesimo, ma è una realtà molto differente da quella di allora, e sopravvive come scelta consapevole solo in una parte minoritaria della popolazione. Del resto, l’essere minoritario del Cattolicesimo si manifesterebbe pienamente nel momento in cui il battesimo ritornasse ad essere una libera scelta della persona.
Natale 1956
Scolari
Questa vecchia foto del 1961 mostra mia madre in veste di maestra elementare, a Ca’ Brentelle nell’entroterra veneziano. Gli alunni erano tutti figli di contadini e operai. La fotografia ispira un senso di allegria e disciplina, esattamente quella fusione dei due elementi che è indispensabile per la crescita positiva di bambini e ragazzi, quella fusione che a partire dal 1968 si è totalmente dissolta. Da quell’anno infatti l’allegria è stata collegata all’anarchia, e alla disciplina solo l’oppressione e la noia. Quei bambini che qui vediamo sono oggi sessantenni. Qualcuno sarà morto, qualcuno finito male, come è nel destino degli umani: e tuttavia i loro volti un po’ sfocati rivelano un’attesa del futuro di un genere che oggi non troverete mai negli sguardi dei giovanissimi, ben più ricchi di costoro, ma accompagnati dalla percezione di una catastrofe imminente.
Il Bivio
Anno 1958: frequento la seconda elementare all’Istituto Beata Capitanio a Venezia. Da tre anni so leggere, perché ho imparato da solo grazie al Corriere dei Piccoli e a Topolino. Ora mi trovo di fronte ad un arduo dilemma: da grande farò il professore o il cacciatore bianco in Africa? Scelgo. Farò il cacciatore.
L’aperto e il chiuso
Una immagine pubblicitaria della ditta Belfe, pubblicata sulla rivista Diana intorno al 1960 (tempera di Roberto Lemmi). Interessante anche dal punto di vista antropologico: l’uomo all’esterno della casa, perché il luogo del maschio è l’aperto, a caccia; la donna che gli lava la giacca, dentro la casa, perché il luogo della donna è nello spazio interno. Quella giacca l’ho indossata anch’io da giovane.
Autoricordi: Opel Olympia
La ricordo bene, quell’Opel Olympia grigio chiaro, che lo zio Elvio guidava con stile nervoso, facendomi soffrire un gran mal di macchina sulle strade ricche di curve. Ricordo le nausee per la terribile puzza di benzina che non abbandonava mai l’abitacolo. Per qualche anno la sorella di mia madre Teresa, la zia Francesca, visse in un sobborgo di Ginevra, Troinex, insieme al marito Elvio Petrovich, ingegnere che aveva trovato un lavoro interessante in Svizzera. Andammo a trovarli nel settembre del 1959. In quei tempi fortunati le scuole iniziavano il 1 ottobre. Qui si vedono da sinistra mio fratello Paolo (in auto), mio padre, mia madre, il sottoscritto e la zia Francesca. E la montagna sullo sfondo è il Monte Bianco. Erano tempi in cui le donne nelle chiese cattoliche portavano il velo, e usavano portare fazzolettoni in testa tutto l’anno. Allora le donne in genere mi interessavano però assai poco, e le bambine per nulla: le trovavo sciocche creature perché invece che creare mondi fantastici, nei loro giochi riproducevano la piatta realtà di tutti i giorni, imitando con le bambole le loro mamme, mentre noi maschi ci fingevamo personaggi che i nostri padri non erano, e vivevamo avventure che i nostri genitori non avrebbero mai potuto comprendere.