Mi ha affascinato il titolo, e ho preso il libro dallo scaffale di quelli a metà prezzo. Ma questo romanzo mi ha deluso: la cosa più bella rimane il titolo, che però non è l’originale (il romanzo di Christopher Barzak si intitola One for Sorrow – 2007, trad. it. di C. Nubile, Elliot 2008). Storia di formazione di un quindicenne, si presenta come una vera e propria iniziazione nel senso arcaico del termine, una discesa nel mondo dei morti, legata al rapporto con un coetaneo barbaramente assassinato che continua oltre la morte di costui. Il fatto è che anche quando si narra di ritorni di morti-non-ancora-del-tutto-morti, inquieti e nostalgici o assetati di sangue che siano (non è questo il caso), occorre anzitutto rispettare alcune fondamentali regole e offrire un quadro che potrà anche essere assurdo, ma nella sua assurdità o incomprensibilità non deve presentare contraddizioni. Qui l’autore pencola tra orrore ed elegia, quello che torna a visitare Adam, il morto Jamie, non è un etereo fantasma, ma un corpo freddo che si muove e parla, ma non è uno zombie, sebbene a lungo andare mostri segni di putrefazione… Insomma, che cosa è? Una narrazione deve fondarsi comunque su una antropologia anche fisica, per quanto strana o disturbante, che all’interno del racconto abbia un senso. Qui si fa davvero fatica a trovarlo, e non è il caso di sforzarsi. Si può concludere che se la morte rimane uno dei pilastri della letteratura, alta o bassa che sia, oggi è ben difficile che un autore possa affrontare il tema della condizione dei morti, non esistono più i presupposti culturali per farlo decentemente. Del morire, invece, e della perdita per sempre, si parlerà, narrerà e canterà finché il sole risplenderà sulle sciagure umane.
