
Se la politica fosse il luogo della verità, avrebbe senso il “vogliamo la verità!” sull’omicidio Regeni. Come lo avrebbero tutti i “vogliamo la verità!” che in questi decenni si sono succeduti in Italia: sull’incidente di Ustica, sull’omicidio Moro, sulla strage dell’Italicus (e potrei continuare). Ma la politica non è il luogo della verità. La politica è il luogo del conflitto e della mediazione del conflitto.
Quando qualcuno, in genere collocato a sinistra, grida “vogliamo la verità!”, intende dire “vogliamo la verità che sappiamo già benissimo!”, perché è la verità del nemico, che il nemico nasconde, appunto perché è il nemico. L’emergere della verità, dunque, coincide con la sconfitta del nemico, ed è per questo che quella verità viene reclamata con tanta forza. L’ideale sarebbe il manifestarsi come incontrovertibile aletheia quella che la morte di Regeni è stata causata da funzionari della CIA e del Mossad: allora la fame di verità sarebbe saziata.
Il regime militare di Abdel-Fatah al-Sisi è avvertito come nemico, e questo è dovuto non alla sua natura spietata di per sé – il regime degli Ayatollah in Iran e quello saudita lo sono anche di più, gli oppositori in Cina sono spediti in galera e spariscono come in Egitto, ma contro di loro la mobilitazione di sinistra è sempre stata scarsissima – ma al fatto che non appare abbastanza nemico di Israele e dell’Occidente. Si tratta sempre della oicofobia di sinistra, ancorata al risentimento.
Vogliamo la verità, sono solo parole dette da chi invece non ha nessun motivo per volerla, anzi direi il contrario. Un modo per farsi sentire vicini al popolo, a chi è stato toccato da tragedie, ma sotto sotto per loro restano solo parole!!
Saluti, Pat