Così ha inizio il male

JavPresente e passato, le colpa e la sua non-espiazione, il desiderio di dimenticare e l’oblio su cui si reggono i rapporti umani, il seme del male che germina dal male più grave, cioè dal peggio, e il continuo sbocciare di giovani che si tramutano in vecchi e disincantati agenti della stagnazione e del nulla: una infinità di temi si annoda nella obliqua e sinuosa scrittura di Javier Marías nello sfaccettato Così ha inizio il male (Así  empieza lo malo, 2014, trad. it. di M. Nicola, Einaudi 2015). Un romanzo che richiede lettori pazienti, disposti alla riflessione, e sensibili ai chiaroscuri della coscienza. Insomma, lettori non comuni, esenti dalla fretta tipica del consumo culturale di oggi. Questa è la storia di una doppia indagine da parte del protagonista (giovane nei primi anni ottanta – il tempo della storia narrata –  e voce narrante oggi, quando ormai è uomo maturo), indagine sulla crisi di un matrimonio, quello di Beatriz col regista Muriel, e contemporaneamente su un pediatra di successo, su cui pesa un sospetto di gravi colpe risalenti all’epoca franchista. I temi sono numerosi, la prosa è quella che il passo che ho ritagliato mostra in tutti i suoi caratteri distintivi.

«Il suo letto è sconsolato, – pensai – per questo ne visita altri, o non fa neppure uso di letti, così non corre il rischio di avvertire il contrasto con il suo, solo e freddo, al quale torna ogni notte. Non sta ferma e non si accontenta, si procura scorribande e avventure. Vorrebbe averle con Muriel, ma per quanto lui le manchi, non si perde d’animo, non si consuma chiusa in casa, nei periodi di maggiore energia si cerca dei surrogati, come quasi tutti fanno, ben pochi ottengono ciò che desiderano, o se ci riescono non riescono a conservarlo per molto, chissà per quanto tempo lo avrà avuto lei». Ci affanniamo per conquistarci le cose senza pensare, mentre ci sforziamo per averle, che non saranno mai sicure, raramente dureranno, saranno sempre suscettibili di perdita, nulla è conquistato per l’eternità, spesso combattiamo battaglie e ordiamo macchinazioni o ricorriamo a menzogne, commettiamo bassezze o tradimenti o ci rendiamo complici di crimini, senza pensare che qualunque cosa otteniamo durerà poco (è un antico difetto di tutti noi, vedere come definitivo il presente e dimenticare quanto sia necessariamente e desolantemente transitorio), e tutte le battaglie e le macchinazioni, le menzogne e le bassezze e i tradimenti e i crimini ci appariranno sterili una volta che il loro effetto sarà svanito o esaurito, o peggio, superflui: nulla sarebbe cambiato se ce li fossimo risparmiati, quanta fatica inutile e sprecata. Ci facciamo guidare dalla fretta malvagia e ci consegniamo alla velenosa impazienza, come un giorno avevo sentito dire a Muriel, senza capire se stesse citando qualcuno. Non riusciamo a vedere più in là del domani e vediamo il domani come se fosse la fine del tempo, come i bambini piccoli, convinti che una momentanea assenza della madre sia definitiva e irreversibile, un abbandono in piena regola; che se hanno fame e sete e non vi pongono immediato rimedio ne soffriranno per sempre; che se si fanno un graffietto quel dolore non finirà mai, non arrivano neppure a immaginare la crosta; ma anche fermamente persuasi , se si sentono protetti e al riparo, che quella condizione non cambierà mai, per tutta la loro vita, che riescono a concepire solo di giorno in giorno o di ora in ora o di cinque minuti in cinque minuti. Da adulti non siamo molto diversi, sotto questo aspetto, e nemmeno da vecchi, quando quello che resta della nostra vita è ormai così breve. Il passato non conta, è tempo scaduto e negato, è tempo di errore o di candore e di inesperienza, e finisce per meritare solo compassione; a svuotarlo di significato e a riassumerlo è in definitiva questa idea: «Quanto poco sapevamo allora, che sciocchi siamo stati, che ingenui, ignoravamo quello che ci attendeva e invece adesso sappiamo». E in questo sapere del presente non siamo capaci di mettere in conto che domani sapremo una cosa ancora diversa e che l’oggi ci apparirà altrettanto sciocco dei giorni passati e del giorno in cui siamo stati gettati nel mondo, forse in piena notte sotto questa luna sdegnosa e stanca. Andiamo di inganno in inganno e su questo non ci inganniamo, e tuttavia ogni nuovo inganno che viviamo lo prendiamo per vero. (pp. 157-158)

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