Contiene un messaggio, anzi un avvertimento fondamentale, Il Grande Califfato di Domenico Quirico (Neri Pozza 2015): l’Occidente, prigioniero di una visione puramente economicista della realtà, non possiede oggi categorie interpretative adeguate per gli eventi che si stanno verificando all’interno del mondo musulmano sotto il segno del totalitarismo islamico globale (p.13). Quirico negli ultimi vent’anni ha percorso campi di battaglia e luoghi di violenza scatenata in cui protagonista, in un modo o nell’altro, è l’Islam in una delle sue declinazioni. Dalla Bosnia all’Algeria, dalla Siria all’Iraq alla Libia, il suo sguardo instancabile coglie i particolari e l’insieme, mentre lui incontra persone, interroga, ascolta, e infine compone un quadro che possiamo soltanto definire estremamente inquietante. Diciamo che Quirico, come mostra anche la sua tesissima prosa, porta la missione di corrispondente di guerra al suo estremo, fino al famoso episodio della sua prigionia di cinque mesi in mano a fanatici che avrebbero potuto ucciderlo da un minuto all’altro, per i quali una vita umana vale meno di nulla, fino al suo a rincorrere la violenza scatenata in ogni angolo del mondo arabo e musulmano per poter dare un senso al tutto, per trovare il bandolo di una matassa della cui esistenza i più, da noi, sembrano non accorgersi. Poiché «Non c’è da sperare soccorso dai nostri luoghi comuni ordinari. Non avendo osservato nel fondamentalismo islamico che l’esteriorità e il transitorio, non comprendiamo assolutamente nulla dei gesti nuovi e di sovrumana parvenza che non trovano l’analogo in alcun passato prossimo e che sembrano già appartenere a qualche indiscernibile futuro» (p. 48). La non comprensione occidentale secondo Quirico è anche una conseguenza della diversa velocità con cui scorre il tempo in Occidente e nelle terre in cui sta germinando lo stato islamico totalitario. Colà lo scorrere è molto più lento, e maggiori la pazienza e la capacità di attesa. Così, noi pensiamo che in Algeria tutto sia sistemato, che l’islamismo sia debellato, e invece così non è: ha solo rallentato, per il momento, il passo. E Quirico è stato il primo a capire che stava nascendo l’ISIS.
Similmente, noi non capiamo l’impulso che muove tanti giovani foreign fighters a marciare sotto le bandiere nere. Vi è, per Quirico, un cuore di luminosa tenebra pervasivo: la netta separazione tra puri e impuri tracciata da Dio, la condanna assoluta degli impuri alla distruzione, l’innocenza dello sterminatore agente di Dio. Essere portatori di una violenza illimitata e innocente, semplificata e semplificatrice, una violenza divina, questo è il primum movens, ciò che attrae chi si fa combattente dell’ISIS: «Che cosa governa un cuore? Il medico, il rapper, lo spacciatore lasciano come un vestito vecchio tutto ciò che noi crediamo fondamentale e attraente, la scienza che salva, la musica, il malaffare redditizio; e vanno a uccidere e morire per un Assoluto così crudele, in un Paese che non è il loro, neppure quello dei padri o nonni, dove aleggia l’alito dei luoghi infausti. C’è di che scoraggiare i settatori delle magnifiche sorti e dei fatali progressi.» (p. 90)
L’Occidente guarda, inorridisce e non vuole comprendere, il suo sguardo si ferma alla superficie. L’Algeria, ad esempio, è vicinissima, è legatissima alla Francia, e tuttavia chi ricorda più i tragici eventi di pochi anni fa? I lotofagi occidentali sembrano desiderosi solo dell’oblio… «La guerra sporca dei décideurs algerini ha solo impedito che il primo stato islamista nascesse all’inizio degli anni Novanta, invece che nel 2014. Abbiamo, grazie alle decine di migliaia di martiri algerini, guadagnato vent’anni. Che abbiamo dilapidato senza fare nulla» (p.117).
Mi piace come hai presentato questo libro, sei veramente bravo nelle recensioni!!
Saluti, Patrizia
Grazie del complimento! Tuttavia queste mie non sono recensioni, ma solo brevi note di lettura.