I Buoni

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Luca Rastello col romanzo I Buoni (Chiarelettere 2014 ) veste il camice dello scrittore-chirurgo, e affonda il bisturi in una delle piaghe purulente del nostro tempo: l’attività e il modo di essere di organizzazioni benefiche, di onlus guidate da figure carismatiche, nelle quali una retorica di parole e gesti accattivanti si unisce, in piena falsa coscienza, con una sostanza oscura, quella di un potere inesorabile che schiaccia tutti. Qui la figura carismatica è un prete, don Silvano, un prete da battaglia, che indossa maglioni sdruciti, nume della onlus onnivora In punta di piedi, che combatte le mafie e sviluppa innumerevoli attività (bisogna avvertire sempre la frusta dell’oltre  è una delle formule stereotipate), e stritola i suoi membri. È una onlus vezzeggiata da politici e media. Ciò che la caratterizza è una retorica efficacissima, ma nella sostanza radicalmente falsa: il suo simbolo è l’uso del verbo “accompagnare” in luogo del moralmente proibito “licenziare”.  La genuinità lupesca della protagonista Azalea, una ragazza che dalle fogne di Bucarest finisce nel gruppo dirigente della onlus di don Silvano, fa risaltare la falsità della posizione di tutti gli altri, con l’eccezione di una transessuale e di un bandito. Ed è forse qui il punto debole di Rastello, che finisce per cadere in una retorica dell’antiretorica. Con sviluppi decisamente sacrificali nella parte finale, in cui il bandito Adrian si trasforma in giustiziere-profeta che si esprime con formule bibliche mentre massacra i cattivi. C’è infatti un che di religioso in questo testo, che risalta anche dai titoli delle sue tre parti: L’uomo dal paradiso, Scuola di empietà, L’uomo dall’inferno.

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