All’interno dell’inesorabile processo di indifferenziazione in corso nel mondo occidentale, la questione del genere assume una rilevanza eccezionale. L’indifferenziazione è un moto difensivo della cultura vittimaria dominante in Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale, un moto difensivo nei confronti dell’idea–erronea–secondo cui la violenza (emblematizzata nelle stragi naziste) sarebbe il prodotto della differenziazione (tra classi, generi, etnie, ecc.) anziché del suo contrario. Per questo, oggi stiamo attraversando una Kulturkampf, scatenata dalle forze culturali che vedono il loro avversario principale nel Cristianesimo, e in particolare nel Cattolicesimo. Poiché questo rappresenta l’unica realtà culturale solida che attualmente mantenga chiara la distinzione armoniosa tra il maschile e il femminile, e l’idea di famiglia in cui, pur nelle differenze storiche e ambientali, sono essenziali le figure della madre e del padre. Io sostengo la necessità di mantenere il discorso su di un piano rigorosamente antropologico, in cui i concetti non possano essere travolti dall’approssimazione e dall’imprecisione, utilizzate come strumenti ideologici. Pertanto affermo che il genitore (padre) è colui che genera fecondando, la genitrice (madre) colei che genera essendo fecondata e partorendo. Aggiungo, a corollario, che se vogliamo essere attenti alla differenza di genere, e salvaguardare la dignità del femminile, dobbiamo rifiutare il concetto del “genitore 1 – genitore 2”, che in tutta evidenza è il prodotto da una prevaricazione omomaschilista anche a livello linguistico, e comporta inoltre una successione numerica del tutto problematica. Chi poi non genera, e per natura è impossibilitato, come coppia omosessuale, a generare, non è né genitore né genitrice. E i genitori adottivi? Possono essere intesi come tali solo quelli che per il reciproco rapporto di genere avrebbero potuto generare.