La tristezza degli angeli

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La tristezza degli angeli (Harmur englanna, 2009, trad. it. di Silvia Cosimini, Iperborea 2012) di Jón Kalman Stefánsson è il secondo capitolo della trilogia iniziata con Paradiso e inferno. Si configura come un’odissea in condizioni estreme: il ragazzo senza nome che abbiamo conosciuto nel primo libro accompagna il gigantesco e taciturno postino Jens in un folle giro di consegna della posta ai casolari isolati dell’Islanda del nord, in una fine dell’inverno che non vuol finire, mentre cadono enormi quantità di neve, e il vento del Mar Glaciale spira con tutta la sua forza omicida.
In una condizione in cui «la vita umana non è che una vaga vibrazione nell’aria, è così breve che passerebbe inosservata agli angeli, se chiudessero un attimo le palpebre» (p.151) i vivi e i morti sperimentano una particolare prossimità. Fantasmi appaiono ai due che si fanno strada in un mare di neve, e la seconda parte della narrazione vede il ragazzo e il postino insieme ad un nuovo compagno nella ancor più folle impresa di trascinare una slitta con la bara di una donna morta dal suo casolare al cimitero più vicino, che è infinitamente lontano. Potente riflessione sulla vita umana, e anche sull’amore, e sul rapporto tra gli uomini e le donne in questo luogo alla fine del mondo, il romanzo di Stefánsson assume una particolare coloritura di pietà quando tocca l’esistenza dei bambini e delle loro madri, che ogni mattina per un tempo lunghissimo debbono soffiare sulle braci per rianimare il fuoco, e piangono, perché «i bambini muoiono, i sogni muoiono, la scintilla vitale si affievolisce e si spegne e chi non piange si trasforma in pietra. Soffiano sulle braci e piangono, perché possiamo rianimare un fuoco, ma non un essere umano.» (p. 160) E mentre le donne piangono, qual è il compito di un uomo? Secondo Jens «… un uomo deve lottare, anche quando tutte le vie gli sono precluse, è questo, essere un uomo». E tuttavia qui i rapporti tra i due sessi non sono semplici, né le donne sono semplicemente sottomesse: Jens, ad esempio, è perdutamente innamorato di una donna che, massacrata e umiliata dal marito violento, è fuggita con i suoi due bambini, dando prima fuoco alla casa in cui l’uomo violento dormiva ubriaco. Poiché, in ogni caso, «…il potere genera invariabilmente ingiustizia e benché la vita possa anche essere bella, l’essere umano è decisamente imperfetto». (p.288)

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