Ho letto questo libro (Laurana 2011) per la stima che nutro per Valter Binaghi, uno che pensa liberamente e non teme le discussioni, e le cui idee sono spesso stimolanti. Il libro è fatto così: c’è una lunga, personale, e secondo me del tutto inutile proprio perché troppo personale, introduzione di Tullio Avoledo. Poi ci sono dieci capitoli, ciascuno diviso a metà: la prima scritta da Giulio Mozzi, la seconda da Valter Binaghi. Le parti di Mozzi non saprei come definirle, la sua scrittura vuol qui essere leggera e frizzante, ma nello stesso tempo acuta e densa, e non ci riesce. Appena ho letto cose come quella che qui riporto mi son detto: ma questo che è, che vuole? Dunque, il primo capitolo nel suo titolo dice il primo motivo per essere cattolici: perché questo mondo è stato creato.
Confesso che qui mi commuovo, a volte, anzi abbastanza spesso, per questo creatore: che se ne sta immobile, eternamente, a meditare su ciò che tutt’a un tratto, e quindi da sempre, lui stesso è; eternamente medita, il creatore, coltivando da sempre una voglia – ovvero una speranza, ovvero un amore – che gli viene tutt’a un tratto: la voglia di uscire, di andar fuori, lui che è tutto quel che c’è; e s’inventa questo modo di uscire, che è il modo di creare il mondo, di crearne almeno uno, di creare qualcosa che sia distinto da lui stesso. Mi commuovo, perché m’immagino l’insostenibile solitudine, l’insostenibile noia, l’insostenibile disamore di questo stare immobilmente eterno; e insieme mi vien da ridere, e di felicità, a immaginare che felicità può essere stata, per questo immobile, l’esperienza di fare per una volta, tutt’a un tratto, una cosa che non fosse da sempre, una cosa mobile. Una sorpresa. (pp. 31-32).
Dirò soltanto che in questo passo sulla creazione il Dio cristiano, che è trinitario, non c’è. E tutto quello che Mozzi scrive dei suoi dieci motivi per essere un cattolico varrà forse per lui, ma non persuaderà nessuno. La metà binaghiana dei capitoli non ha alcunché a che fare con quella mozziana, viaggiano su binari differenti e non interagiscono tra loro. Binaghi si confronta con la storia della filosofia occidentale e cristiana, poco con la teologia del Novecento, forse per un suo rifiuto viscerale del Protestantesimo. Il suo è un cattolicesimo da battaglia, ma molto personale, e quindi non ha nulla da spartire quello dei circoli cattolici di vario ordine e grado che si fregiano dell’insegna cattolica: da CL ai lefevriani. Ha un sapore paradossale di cattolicesimo anarchico. Infine, anche i 10 motivi di Binaghi acquistano un sapore così personale da risultare difficilmente assumibili da chi abbia avuto un differente vissuto ecclesiale, una diversa storia umana. I 10 motivi vorrebbero avere un forza di universalità, ma rimangono legati a due vite particolari. Forse però proprio in questo testimoniano anzitutto la difficoltà che attraversa chiunque oggi aspiri ad essere integralmente cattolico mantenendo la più totale libertà intellettuale.
I 10 motivi hanno indubbiamente anche la natura di una polemica. La polemica è anzitutto rivolta contro il milieu culturale italiano. Contro la visione dominante tra giornali, riviste, case editrici, televisioni ecc., per cui il cattolicesimo sarebbe un residuo del passato, una retroguardia sotto tutti gli aspetti. Ma è vero quello che si dichiara qui, che “essere cristiani cattolici sia oggi, in Italia, la più radicale diversità sperimentabile”? Un anticlericale direbbe che questo non si può sostenere quando non c’è edizione dei TG che non citi un discorso o un’attività del papa; quando non si riesce a fare una legge sulla convivenza tra persone dello stesso sesso o sul testamento biologico. Ma qui occorrerebbe distinguere gli ambiti e i livelli e fare un discorso ampio. Quello che è sicuro è che tra gli intellettuali i cattolici sono una minoranza. Ma non da oggi: ricordo che nel 1968 nella mia classe di liceo gli unici apertamente cattolici eravamo Alberto Gallas ed io, ed eravamo guardati come dei residuati, appunto. Debbo ringraziare però la teologia protestante del Novecento, i libri di Moltmann, Barth, Bonhoeffer, ecc., per il fatto di non aver abbandonato, durante gli anni universitari, il Cristianesimo. Perché mi fecero vedere come si potesse essere cristiani nel cuore della Modernità.
Ho purtroppo ora poco tempo per leggere il libro di Valter e Giulio. Mi riprometto di farlo al più presto. Anche perché il tuo riferimento a Bonhoeffer & Co. è da discutere. Sarà pure che ci hanno conservati cristiani nel cuore della Modernità… ma ciò che abbiamo davanti può dirsi ancora tale? Se Valter e Giulio, presentano un modo di essere cristiani riuscendo a fare a meno di B. & B., dico, tanto di guadagnato. Un qualche tentativo, magari incerto, di uscire dal post ante ecc. modernismo/modernità e feticismi vari dovremmo prima o poi cominciarlo a sperimentare. Ma devo leggere il libro.
Caro Riccardo, io ho parlato in modo personale: la lettura (e la discussione con amici) di quei testi mi ha fatto rimanere nell’ambito del Cristianesimo. Non capisco quali siano i feticismi di cui tu parli. Quanto al mio uso della categoria di moderno, forse non è del tutto adeguato, ma non posso farne a meno. Certamente tuttavia non ho un pregiudizio antimoderno, e neppure modernista.
Intanto, Fabio, un ringraziamento per esserti occupato del libro, e averne scritto con l’intelligenza e la schiettezza che ti conosciamo.
Si tratta di due narrazioni troppo personali per essere universalmente condivise? E’ una critica che accetto senz’altro in parte, e in parte non respingo ma provo a “epochizzare”, chiarendo l’intenzione del libro.
In un contesto storico dove il cattolicesimo è istituzione da un lato e stereotipo negativo dall’altro, pensando soprattutto ai non credenti abbiamo provato a scrivere non un catechismo ma una testimonianza, l’abbiamo fatto in due perchè c’è una poesia nella narrazione cristiana e c’è una teologia in essa, e i nostri due temperamenti intellettuali ci sembravano adatti ad esprimerle rispettivamente. Il carattere “soggettivo” di questo approccio era un rischio calcolato, ma la buona riuscita del libro sta a nostro avviso nella possibilità di far percepire il carattere poeticamente, eticamente e filosoficamente vitale dell’esperienza cristiana. Il rigore teologico è un punto d’arrivo cui non pensavamo di giungere. Usando categorie tradizionali, si potrebbe dire che è un testo “apologetico”, non dogmatico.
Le tue letture sono le mie. Sono le nostre, includendo credo non a sproposito Valter e Giulio. È vero, grazie a B & B siamo rimasti nel cristianesimo. Ma come? L’interrogazione mi pare legittima. Così come tutelarsi criticamente dalla moneta corrente (potenzialmente cattiva) nella quale si trasformano troppo facilmente i concetti e le categorie. Post-moderno, ad esempio, è un feticcio. Lo è palesemente, quasi per programma. Avere in sospetto le cd idées reçues nelle quali siamo costretti a sguazzare non significa abbandonare coloro ai quali dobbiamo una qualche debito teorico o ai quali riconosciamo un’influenza a cui non vogliamo rinunciare. Occorre però riconoscere che siamo in una situazione culturale che ci fa obbligo di abbandonare le care memorie, gesto molto moderno; dopo di che ci impedisce, chissà perché, di liberarci con la stessa leggerezza di quest’obbligo stesso. Avremo modo di chiarirci… non è detto che non stiamo dicendo la stessa cosa.
Già, non è detto…
Grazie per l’attenzione, Fabio.
Confesso: non ho mai avuta l’intenzione di persuadere nessuno. Volevo solo provare a mostrare come è fatto, o come può essere fatto, un immaginario.
Il “Genesi” è stato scritto da autori che probabilmente non avevano nessuna idea della Trinità (tant’è che, escludendo necessariamente il Cristo, non c’è nessuna idea di “binarietà” tra gli israeliti: che io sappia).
Caro Mozzi, se l’intenzione è quella di esporre l’immaginario cattolico, e non quello dell’autore jahvista o elohista del Genesi, la visione trinitaria di Dio è imprescindibile. Altrimenti bisogna parlare di un immaginario ebraico o altro da quello cattolico. Esattamente questo è il problema con la tua parte del libro: di che immaginario si parli. Problema che con la parte di Binaghi non c’è.
A differenza dell’affermazione coranica secondo la quale Dio non è il padre, nel Credo la fede è rivolta a Dio padre. Perciò l’idea di un Dio solo, che crea il mondo come un oggetto per uscire dall’immobilità, la solitudine e « l’insostenibile disamore », è forse da ascrivere più a un immaginario musulmano o criptomusulmano.
La ragione dell’esistenza dell’’universo musulmano si organizza attorno al desiderio del dio Allah di essere adorato dalle creature da lui fabbricate e dal credente in particolare. Tutto sarebbe molto semplice se il desiderio di Allah e il desiderio spontaneo delle sue sorprendenti creazioni coincidesse. Ma ciò non accade necessariamente e tutto il Corano è un riconoscimento di tale fatto. L’adorazione resta problematica anche quando a esigerla è un essere grandioso e onnipotente, che possiede l’universo e lo dirige secondo la sua volontà. Il Libro è un codice che corrisponde esattamente a questa problematica dell’amore come sottomissione al potente e come realizzarla.
Allah non è il padre, ma, se bendisposto, può comportarsi come un « tutore » clemente e misericordioso.
L’universo, nel discorso musulmano, è un universo così come visto e desiderato dall’onnipotente. In nessuna parte del Libro abbiamo accesso al punto di vista del servo, dello schiavo, del credente al quale Dio chiede la sottomissione. Non conosciamo il servo che attraverso il padrone. Naturalmente ci si può anche commuovere per le vicissitudini di un tale dio. Celibe e solo, questa specie di zio cosmico molto creativo, resta pur sempre un padrone. E, poiché il monolite si annoia, ti chiede di essere amato. « Amami ! ». Non credo sia davvero amabile un tiranno del genere. Nel rifiuto della complessità trinitaria si annida la tirannia del monoteismo, con i suoi tipici tratti astratti, sentimentali e violenti.
Nell’immaginario cattolico ( se vogliamo limitarci a questa specie di abisso che sarebbe all’immaginario) , Dio non è una specie di celibe cosmico, solitario & creativo, in preda a « insostenibile noia », che tutt’a un tratto si dà una mossa e fa una cosa mobile e sorprendente. Ma – come insegna anche il Catechismo della Chiesa cattolica – è già « relazione » ( antropologicamente fondata) e mistero di amore trinitario infinito nel Padre, nel Figlio e nello Spirito santificatore, senza inizio né fine ( perché Tempo e Spazio non rinchiudono l’incommensurabilità della vita del Dio della vita ).
Ma, Fabio, a me pare sensato non perdere la storicità dell’immaginario israelitico, cristiano, cattolico.
Certo che deve essere salvata la storicità dell’immaginario. Ma una cosa è l’immaginario storico conosciuto, un’altra l’immaginario presente condiviso. Il libro è su quest’ultimo, cioè su un immaginario cattolico. I dieci buoni motivi non sono per essere monoteisti di un qualche tipo, e neppure generalmente cristiani, ma cattolici. Altrimenti il titolo doveva essere differente. E, come scrive nel suo commento De Martino, l’immaginario cattolico della creazione ha una sua fisionomia ben precisa.
Ma una teologia trinitaria non sposta di una virgola la radicale e sorprendente novità rappresentata dall’atto creativo e dal suo risultato.Oltretutto legare eccessivamente la relazionalltà intradivina con l’atto creativo puo portare a minimizzare (e al limite a negare)la radicale libertà di quest’ultimo,vedendovi quasi una necessaria conseguenza della prima.Piu in generale è nellIIncarnazione molto di piu che nella creazione che la struttura trinitaria di Dio si rivela..Che poi una teologia cristiana molto elaborata cerchi di fare “retroagire”il centro della”favola”sul sui “inizio è tanto inevitabile quanto problematico
Una teologia trinitaria (ma anche la sola idea di eternità) scardina qualsiasi possibilità di parlare di un Dio “annoiato” (un assurdo sotto ogni profilo, se non all’interno di un immaginario antropomorfizzante).
E qui, a proposito del libro di Mozzi-Binaghi, poi non si tratta di ragionare filosoficamente-teologicamente sul concetto cattolico di Cristo-Sapienza che partecipa alla fondazione del mondo, ma di esporre l’immaginario cattolico. Questo si propongono di fare gli autori.Che in esso immaginario la Creazione sia faccenda trinitaria è incontrovertibile, anche se può non piacere. Altrimenti, lo ripeto, si espone un altro immaginario, non quello cattolico.
Avrei preferito 10 buoni motivi per essere cristiani.
A chi preferirebbe che non si parlasse di cattolici ma di cristiani, si potrebbe obiettare che i cattolici sono necessariamente cristiani. D’altra parte, è anche vero che non tutti i cristiani ( o i cristianisti, come con ironia direbbe qualcuno) sono cattolici, cioè universali, apostolici e romani. Chi alla fine, così come all’inizio, non lascia qualche macchia ? Per fortuna o sventura, ancora una volta la Chiesa Cattolica di Cristo – questa adorabile puttanona che Cristo non cessa di lavare con il suo sangue per farne una sposa immacolata – pare essere , come Cristo, segno di contraddizione.
Aggiungerei che un buon motivo per essere cattolico è quello di sentirsi a casa – in un corpo mortale, un’anima instabile e un universo altrettanto instabile e mortale, ma anche capaci di trasfigurazione in un reale più largo, reso splendido dall’accoglienza – nella fede trinitaria e l’amore – del mistero di gloria del Crocifisso-Risorto . Questo volto radioso, questo spazio di non-morte al centro e al cuore dell’esperienza che diciamo umana, si dà nella relazione con una figura-con-un-cuore, nel perdono , nella comunione, nello Spirito e la speranza nell’invisibile, nei « misteri » della Chiesa. La condivisione universale della fame, della sete, delle contraddizioni vitali e della meraviglia che resta, non è forse la migliore delle compagnie ?
In ogni caso, alla spaziosa vividezza del grande abbraccio della vita spesso preferiamo rinchiuderci in una piccola idea della relazione con noi stessi, con gli altri e l’Altro, e l’universo si fa davvero angusto. Eppure nell’oscurità , un Altro lavora non per fare di noi dei cattolici creativi o dei cristiani piagnucolosi, ma per riportarci allo splendore e alla spaziosità del nostro vero essere. Forse non è sempre colpa nostra se non siamo allenati agli ultrasuoni. Sperare nell’invisibile e attendere, non inerti e senza aspettare, accanto alla tomba vuota, sembra un passo, al limite, impossibile. Sembra sempre troppo presto o troppo tardi. Per non essere accusato di fare troppo, sempre troppo, spesso a un povero cristiano pare non restare altro che il cinismo di una piccola speranza e un po’ di carità pelosa. Ubbidire all’Altro, oggi, è molto difficile, quasi impossibile, sembra quasi un dovere generalizzato di sordità, di autopreoccupazione e di disubbidienza, se non di non sottomissione.
Certo, in tempi di nichilismo attivo e di « crisi radicale », ogni libero pensatore preferisce questo o quello e si aspetta di più, si paragona costantemente agli altri e ha troppa scelta, cosa che non apporta alcuna reale libertà.
Gianni… che bel post!!!!
Fabio, la Bibbia è piena di “immaginario antropomorfizzante”. Presenta un creatore che si adira, che si commuove, che scommette, eccetera.
Domanda: è possibile, per noi umani, avere un immaginario che non sia antropomorfizzante? Ragionare sul divino con la logica umana, che trova assurdo questo e coerente quello, non sarà un’antropomorfizzazione?
Certamente il creatore non è “una specie di celibe cosmico” (bellissima definizione sintetica: grazie). Ma nel momento in cui cerchiamo non di razionalizzare ma di immaginare, possiamo anche immaginare che sia stato – in un tempo inimmaginabilmente antico – “una specie di celibe cosmico”. L’immaginazione serve a rendere tollerabile ciò che la logica trova intollerabile (che uno sia tre, ad esempio, o che il figlio sia nato in un determinato giorno e insieme sia da sempre con il padre, eccetera).
Caro Giulio, ti ripeto una domanda: tu stai esponendo il tuo personale immaginario su Dio o l’immaginario cattolico? D’accordo sul fatto che gli umani non possono abbandonare se stessi per passare nel totalmente Altro, ma esiste da 2000 anni un immaginario cattoluico, che tra l’altro ha percorso e formato la storia dell’arte occidentale. In questo immaginario, che germina dalla fede e dalla teologia, Dio è trino. E il Cristo eterno con lo Spirito sta a fianco del Padre come Sapienza nella creazione del mondo. Questo è l’immaginario cattolico della Creazione. Dopo di ciò, tu puoi benissimo farti il tuo immaginario personale, on seguire quello ebraico, ma non puoi dire che sia quello cattolico. Questo volevo dire, e mi sembra abbastanza chiaro. Del resto, poi, tutti gli antropomorfismi dell’immaginario sono nel cristianesimo superati dall’Incarnazione. “Chi vede me vede il Padre”.
non avendo (ancora) letto il libro, mi limito ad osservare che l’aspetto “amoroso” dell’atto creativo descritto in Genesi è oggettivamente una novità nel confronto con altri miti ed epopee preistoriche e protostoriche. In molti miti di area babilonese, o mediterranea, o anche sudamericana, la creazione era un “accidente” collaterale alla vita degli dei. il mondo nasceva dal sangue, o dai denti, di un nume; o scaturiva da una qualche congiunzione casuale. La bibbia ebraica associa all’atto creativo una volontà, un sentimento di amore, addirittura di “bellezza”. Ho letto infatti che il versetto ricorrente “e vide che era cosa giusta”, (non ricordo il suono della parola) contiene nella lingua originaria anche un qualche cosa dell’idea di bellezza estetica.
Resta da stabilire se l’eventuale constatazione/consapevolezza/convinzione di vivere in un creato “amato” sia cosa tale da farci preferire una religione ad un’altra o a nessuna.
A me non è sembrata proprio “sbagliata l’esposizione di Giulio Mozzi. il fatto che possa essere considerata poco fedele alla dottrina cattolica, in fondo si incastra con il proposito di non centrarla direttamente ma di avvicinarcisi attraverso il metodo diciamo immaginifico. Si sente nella sua prosa questa scelta di uno stile ( da Brotto ben definito “denso e semplice”) come potrebbe essere quello di un vecchio che parla a un bambino ed è comunque piena di belle immagini che invece credo possano colpire nel bene molti lettori, al di là di un analisi sistematica e dottrinale. Se in alcuni momenti questa scelta stilistica si avverte forse troppo, penso vada ascritto all’impostazione del libro quasi giornalistico, che più si adatta a un espressione diretta senza filtri come quella usata da Binaghi.
A differenza della fantasia di un dio solo , le strutture della Chiesa cattolica e il loro racconto e la loro semantica riflettono un immaginario peculiare, che possiamo definire trinitario.
L’immaginario cattolico – i cui simboli principali sono l’incarnazione-croce-resurrezione-apocalisse o seconda venuta – può essere definito “analogico”, come un collante che tiene insieme i frammenti del visibile e dell’invisibile, e aiuta uomini e donne a vivere, a far vivere e ad avere fiducia. Fiducia in se stessi e nella vita, oltre che nel carattere metamorfico, generativo e interrelato della realtà.
Aggiungerei che un buon motivo per restare nella Chiesa – in questo secolino di nichilismo attivo ma piuttosto insignificante, corrosivo e deprimente, ancorché « creativo » – è proprio la significativa bellezza dell’immaginario cattolico, che resta paterno, materno, fraterno e – splendido nell’immaginazione – apre il cuore all’amore e riscalda la vita in tempi freddi e amari.
Attraverso i riti, i dogmi e la bellezza dell’immaginario cattolico visibile ancora in quello che oggi resta di duemila anni di letteratura, pittura, musica, architettura e innumerevoli storie, la novità della vita rivelata da Cristo introduce a un reale più largo e prepara tutti i sensi alla Seconda Venuta dello Spirito, all’incontro con l’inaudito e con l’aperto, che in qualche modo è già qui, risorto attraverso la pratica del meraviglioso dono della vita e la concretezza dell’amore trinitario.
Naturalmente sia quando immaginiamo un “dio solitario” e accigliato sia quando immaginiamo un affettuoso “dio trino “, parliamo di una rappresentazione filtrata dall’immaginario, da una storia più e meno condivisibile e dalla lingua. Non c’è alcuna logica scientifica in questa o quella imago Dei e ognuno è libero d’immaginare quello che vuole.
Il Dio solo pare un dio psichico proveniente dal passato, se non da qualche lontana infanzia ( « un tempo inimmaginabilmente antico »). Naturalmente poco evoluto, dal punto di vista storico, antropologico e anche psicosessuale, il « celibe cosmico » offre del mondo un’immagine piuttosto arcaica.
Come se il tempo che stiamo vivendo fosse uscito fuori dai suoi cardini ( « Time out of joint », secondo l’espressione tragica di Shakespeare), il Dio invece di diventare « come » un bambino, resta bambino. E si annoia, non sopporta la solitudine e « gli viene tutt’a un tratto la voglia di uscire, di andar fuori, lui che è tutto quel che c’è; e s’inventa questo modo di uscire, che è il modo di creare il mondo, di crearne almeno uno, di creare qualcosa che sia distinto da lui stesso ». Mi commuovo, perché quando il primitivo salta su m’immagino che sia molto difficile fermarlo.
Un primitivo demiurgo può essere immaginato e raccontato, ma non sembra appartenere all’immaginario e al racconto propriamente cattolici.
Aggiungerei che un buon motivo per restare nella Chiesa è proprio la significativa bellezza dell’immaginario cattolico, che resta paterno, materno, fraterno e – splendido nell’immaginazione – apre il cuore all’amore e riscalda la vita in tempi freddi e amari.
Naturalmente sia quando immaginiamo un “dio solitario” e accigliato sia quando immaginiamo un affettuoso “dio trino “, parliamo di una rappresentazione filtrata dall’immaginario, da una storia più e meno condivisibile e dalla lingua. Non c’è alcuna logica scientifica in questa o quella imago Dei e ognuno, per fortuna o sventura, è libero d’immaginare quello che vuole.
In ogni caso, un Dio che non è felice non m’interessa più di tanto. Una commovente sciocchezza come il Dio solo che crea « qualcosa » per essere adorato resta tale anche se dovesse provenire da « un tempo inimmaginabilmente antico ».
P.S. D’altra parte è anche vero che se Dio è, cattolicamente, in ogni forma di vita e aspetto della creazione, potrebbe anche darsi che possa cercare di rivelarsi in qualche sub-dio arcaico che quasi uscendo in maniera immaginifica fuori di testa o di melone – come una specie di artista modernissimo o punk ante-litteram – si dà alla pratica solitaria della creazione di « qualcosa ». Perché lo fa ? perché “si annoia” ? Tutto sta, mi pare, nella relazione responsabile tra il creatore e il creato che potrebbe essere un fiore o un carciofone, una stella o un garbuglio o addirittura una macchia… Ma perché dare limiti alla Provvidenza ? :-)
Uff ! Forse ho creato un pasticcio : ho postato più sopra un testo con paragrafi che credevo di aver cancellato. Spero che comunque, malgrado qualche inutile ripetizione, si capisca quello che volevo dire.
Incidenti che capitano, Gianni. Ma si capisce benissimo.
Intanto grazie a tutto per questo bel dibattito sul nostro libro.
Sulla questione dell”immaginario”, vorrei porre a chi ritiene l’approccio troppo “naif” una domanda semplice.
Dato che la teologia cattolica e l’istituzione ecclesiale sono (o sembrano) troppo compromessi con certe concrezioni storiche e certi linguaggi scarsamente intelligibili dall’uomo della strada, non vi pare che la “narrazione” per immagini, anche a costo di concedere qualcosa al mito, sia l’interfaccia più adatta per riproporre la sostanza umana del messaggio? Certo, a questo deve seguire un tentativo di delucidazione che senza aspirare al rigore teologico ne rispecchi almeno il perimetro. E’ esattamente la divisione di compiti che ci siamo data io e Giulio.
Dal canto mio, non lo ritengo “naif”. Penso soltanto che la procedura seguita da Mozzi non funzioni. Il suo discorso può anche piacere come gioco letterario, ma secondo me non traduce efficacemente il messaggio. E ora mi chiedo: chi sono i destinatari di questa traduzione? Gli intellettuali? No, sono quasi tutti prevenuti negativamente. I già convintamente cattolici? Nemmeno. Allora la massa degli Italiani, che notoriamente di religione sono ignorantissimi (cosa ovunque evidente anche nei livelli culturalmente più elevati)?
Un messaggio nella bottiglia?
Fabio, mi domandi: “tu stai esponendo il tuo personale immaginario su Dio o l’immaginario cattolico?”. Rispondo: entrambe le cose.
Un immaginario non vive se non attraverso chi immagina.
In Genesi non c’è traccia – io non ce l’ho vista – di un dio trinitario. Eppure Genesi è accolto dalla tradizione cattolica. A questo punto le possibilità sono due:
– o si dimostra, sulla base del testo del Genesi, che il dio raccontato nel Genesi è in realtà trinitario;
– o non si dimostra questo.
Se non si dimostra questo (e a me pare assai duro dimostrarlo), si può però dimostrare abbastanza agevolmente che il dio-non-trinitario del Gensi cresce e si sviluppa fino a diventare un dio-quasi-trinitario in alcune parti del Nuovo Testamento, e un dio-definitamente-trinitario nei padri della chiesa.
Il modo più duro di aggredire il cattolicesimo è, secondo me, quello di negarne la storia. Dire che “esiste da 2000 anni un immaginario cattolico” è un tantino azzardato, se si vuol sostenere che questo immaginario sia da duemila anni sempre uguale a sé stesso.
Ti ho proposta una domanda, Fabio. La ripeto: “E’ possibile, per noi umani, avere un immaginario che non sia antropomorfizzante? Ragionare sul divino con la logica umana, che trova assurdo questo e coerente quello, non sarà un’antropomorfizzazione?”.
Noi non possiamo ragionare sul divino che con una logica umana, perché siamo umani e non saremo mai divini. Quindi mi pare evidente come anche la lotta contro l’idolatria (che è un filo rosso che percorre l’intera Bibbia) inevitabilmente assume i tratti dell’umano. In una perenne tensione all’autosuperamento. L’umano nella mia visione è per sé costitutivamente paradossale, anche in quanto non può essere concepito se non nella sua relazione-differenza con l’animale da un lato e il divino dall’altro. Ma qui è necessario un pensiero dialettico.
Accogliere nella Tradizione non significa affatto accogliere secondo il punto di vista originario dello scrittore biblico e del redattore. Del resto, sappiamo che il testo della Bibbia ha subito vari passaggi e integrazioni e redazioni prima di giungere alla forma canonica. Anche l’Esodo nella tradizione cattolica significa cose differenti da quelle che sono nella tradizione ebraica. Appunto. Ciò che il libro doveva proporre è l’immaginario cattolico, e l’immaginario cattolico deriva dalla lettura cristiana dei testi del Nuovo e dell’Antico Testamento. L’immaginario qual è oggi si è formato storicamente. Ergo, in esso, a causa di una lunghissima serie di eventi, di Concili e di Padri, ecc.che qui non è il caso di riproporre, nella Creazione il Figlio è accanto al Padre e allo Spirito. Se non credi a me puoi chiederlo a Ratzinger…Un Creatore solitario come espressione dell’immaginario cattolico è dunque una falsificazione.
Ma la stessa cosa vale per il resto. Prendi la Madonna. Nell’immaginario cattolico essa è ben altro da quello che appare nei Vangeli (in Paolo non appare nemmeno). Ma se io volessi rappresentare l’immaginario cattolico quale è oggi, e non quello del Cristianesimo delle origini, se mi attenessi solo ai versetti del NT commetterei un falso.
Il dio creatore immaginato da Mozzi pare più un personale e mitico mattacchione cosmico che il dio di Genesi che parlando fa diventare” giorno” la luce e “notte” le tenebre ( non senza qualche resto di abisso, forse tipico dell’ingresso dell’immaginario nello pichismo umano ), il dio “roveto ardente” di Mosè e il dio “relazione” della semantica cattolica.
Se un tale dio ( il “celibe cosmico” o “onanista celeste”, come si potrebbe dire con un po’ di libertà espressiva ) serve per fare un po’ di letteratura, perché no?
Aggiungerei che i miti di diverse culture abbondano di fantastici racconti sull’origine del mondo e della vita attribuita all’atto creatore di superiori entità più e meno antropomorfizzate e quindi adorate come “i signori”, fino al “Signore” unico dei culti dai tratti astratti e violenti dei vari monoteismi provenienti, non a caso, dal deserto.
Del resto già Lucrezio, a proposito del racconto delle avventure & disavventure degli dèi mitici, osservava che “humanum genus est avidum nimis auricularum” ( De natura rerum, IV, 598). E che tuttavia l’uomo non dovrà temere nulla che gli derivi dalla credenza nei racconti del mito e degli dèi mattacchioni, perché è il mondo stesso a essere già ricolmo di tremendo terrore.
P.S. Michel de Montaigne, che aveva dipinto la sentenza di Lucrezio ( “humanum genus est avidum nimis auricularum”) sulle travi del soffitto di una delle stanze del suo castello che egli chiamava la sua “libreria”, traduce:” Le genre humian est excessivement avide de récits” ( Il genere umano è eccessivamente avido di racconti).
P.P.S. Il Calonghi cita la frase di Lucrezio, e traduce “auricularum” con “di frottole”. Ma, al discorso sui lettori deboli di oggi, meglio s’adatta “di chiacchiere”, cioè di “fattarielli” proprio atti a risuonare nelle orecchie. Questo chiede a un libro il lettore debole (e la lettrice debole). Il lettore forte, invece, consapevolmente o in maniera oscura, sa che un “Creatore solitario come espressione dell’immaginario cattolico”, è un’affabulazione, se non proprio una mistificazione e una fandonia sull’onda, diciamo così, della più generale e drammatica liquidazione del complesso immaginario cattolico trinitario.
A tale liquidazione si aggiunge – oltre alla tirannia che si annida nel rifiuto della complessità di duemila anni di immaginario cattolico – il ritorno del più semplice “dio oscuro”: un monolite onnipotente e single bisognoso di adorazione che pare adattarsi meglio ai cosiddetti bisogni ‘ottimali’ di masse di semplicioni & numerosi sentimentali acculturati e “creativi” per noia o per insoddisfazione. Perlomeno così pare, oggi, in tempi di nichilismo attivo, se non post-moderni, post-mortem e – apparentemente – post-tutto.
Ciò che il libro voleva – “voleva”, Fabio, non “doveva” – proporre è l’immaginario cattolico, e l’immaginario cattolico si è formato storicamente. A me pare bene ricordare che si è formato storicamente, e che è quindi un immaginario in movimento in una storia in movimento – e non un immaginario che tenta di fermare la storia. Il “creatore solitario” è l’inizio di una storia: e non mi pare proprio che abbiamo, nel nostro libretto, spacciato quell’inizio per un presente, o per una fine, o per una fissità.
D’altra parte, trovo bizzarro che mi si richiami il lavoro che hanno fatto nei secoli i credenti per vietarmi di fare esattamente lo stesso lavoro: accogliere, interiorizzare, trasformare, restituire l’immaginario. La storia non è finita.
Penso, Giulio, che ormai le nostre posizioni siano chiare e definite. Io penso che non si possa prescindere dall’immaginario cattolico attuale, tu invece ritieni che possa essere concessa una libertà creativa soggettiva, che io, per quanto sia apprezzabile per sé, non ritengo compatibile con lo spirito del cattolicesimo.
per finire a tarallucci e vino direi che se nell’immaginario cattolico ci sta un immagine come quella la creazione di Adamo dipinta da Michelangelo nella cappella sistina si può fare un po’ di posto anche per il libro di Mozzi e Binaghi
ciao, k.
leggendo la sequenza degli interventi, in questo post e negli altri del tuo ricchissimo scaffale (non mi piace “sito”!), credo si possa constatare una “strana verità”. Che cioè, quando si parla di creazione e di genesi, tutti hanno voglia di dire la loro, e tutti si sentono in grado di dire la loro.
Lo faceva notare il cardinal Ravasi (può piacere o meno, ma è indubitabilmente uomo intelligente e di cultura ed erudizione sconfinate); se si parla di metafisica, o di fisica nucleare, di genetica o di semiologia, di meccanica quantistica o di esegesi protobabilonese, molti ammeterebbero senza problemi la propria ignoranza, e pochissimi ardirebbero mettersi in gioco. ma quando si va a toccare l’origine dell’uomo (sia dal versante religioso che scientifico) ognuno parla e dice la sua.
La mole degli interventi qui, non fa che confermare l’assunto: a fronte di una media di poche risposte, l’argomento creazione (che su questo aspetto si è appuntato il dibattito) ha aperto le cateratte.
Intendiamoci, non credo affatto che ciò sia un male, e che chi è intervenuto avrebbe fatto bene ad astenersi. Solo constato che, a verosimile parità di lettori, molti argomenti, altrettanto interessanti e nobili, inducono molto meno a prendere la penna (il mouse!) in mano.
Forse prendere la penna ( il mouse!) in mano e scrivere il racconto di un povero dio solitario e infelice alla deriva nel mare del tempo e delle storie, è il lavoro più solitario che esista – un lavoro non facile in un angolo che mai si chiude…
Esistono molte storie possibili, o anche impossibili. Ma ciò non toglie che la SS Trinità sia un punto fondamentale della fede cattolica. Anche se in via di liquidazione “creativa”, l’immaginario cattolico resta animato da uno spirito di comunione che è il contrario sia della fissità sia della macina del mulino dell’ “immaginazione al potere”.
Scegliendo il titolo del libretto in questione, l’autore si era impegnato a parlare di immaginario cattolico, e pacta sunt servanda. D’altra parte è anche vero che i titoli o anche le copertine dei libri in commercio sono un po’ come specchietti per le allodole e volere non è dovere.
Volendo immaginare e ironizzare, perché no?, si potrebbe dire che invece della foto di una specie di povera naufraga che si guarda intorno smarrita in quella che sembra una sala d’attesa, forse il libretto si sarebbe giovato, in copertina, di una riproduzione dell’immagine della creazione di Adamo dipinta da Michelangelo nella volta della Cappella Sistina. Magari con una fascetta: “ Uno degli autori di questo libretto è lo Spirito santo in persona impegnato nel fare esattamente lo stesso lavoro che hanno fatto nei secoli i credenti”. :-)
Che fare? Ricordare al Creatore che è “proibito proibire” e offrirgli un pezzetto di carta assorbente? Speriamo che accorgendosi di non essere il Creatore, l’autore non si deprima troppo, non si creda vittima di qualche bizzarra congiura e riesca a tenersi a galla tra il volere e il dovere.
Volendo scrivere contro la dissipazione di un immaginario, non è senza logica fissare liberamente le barriere del disinteressse e della fedeltà ( a una tradizione e alla parola data) magari trovando approdo in qualche nicchia, blog o scaffale se non proprio nell’alto della Cappella Sistina.
Fabio, tu riassumi così le due opinioni: “Io penso che non si possa prescindere dall’immaginario cattolico attuale, tu invece ritieni che possa essere concessa una libertà creativa soggettiva”. No. Io non ritengo che “possa essere concessa una libertà creativa soggettiva”. Io penso che senza libertà creativa soggettiva non esisterebbe il cattolicesimo.
Ripeto: trovo bizzarro che mi si richiami il lavoro che hanno fatto nei secoli i credenti per vietarmi di fare esattamente lo stesso lavoro: accogliere, interiorizzare, trasformare, restituire l’immaginario.
Senza libertà creativa soggettiva non esisterebbe il Cattolicesimo? Qui bisogna chiarire cosa si intende per “soggettivo”, ma anche cosa si intenda per “Cattolicesimo”. Lo sai, vero, che per secoli Cattolici e Protestanti hanno litigato proprio sulla libertà del credente nella lettura delle Sacre Scritture? E la dottrina cattolica ha sempre negato al singolo credente la libertà di interpretazione “soggettiva” della SS, e l’obbligo di rifarsi all’interpretazione del Magistero. Se poi tu del Cattolicesimo, e anche della sua storia, ti fai un’immagine tua, “soggettiva”, sei libero. Ma io sono libero di dire che non è immaginario cattolico, è immaginario mozziano. E che tu non trovi in realtà bizzarra la posizione mia, trovi bizzarra la posizione tradizionale della Chiesa Cattolica, che rifiuta soggettivismo e relativismo.
Aggiungo un esempio. Dante è l’Autore cattolico per eccellenza, la sua libertà creativa soggettiva, per usare un’espressione che puoi condividere, è indiscutibile e sovrana. Ma nel rappresentare Dio alla fine del Paradiso, Dante non si discosta dalla dottrina della Chiesa, il suo Dio eterno è assolutamente trinitario. La “impossibile” rappresentazione dei tre cerchi della stessa dimensione che rimangono tuttavia distinti, legati da una circolazione d’amore, in uno dei quali è inscritta l’immagine
dell’uomo, questo immaginario è di Dante e solo suo, ma non contraddice la dottrina. Il Dio creatore annoiato e solo che tu immagini invece la contraddice, come afferma anche De Martino.
antropomorfizzare o non antropomorfizzare ?
questo è il problema…
Forse, almeno in una certa misura, è incoercibile nell’uomo la tendenza a interpretare cose avvenimenti idee, mettendoci “un po’ del suo”.
La cosa si fa ancor più complicata, quando ci dedichiamo a certi concetti.
Non per nulla, neile sacre scritture viene espressamente detto che Dio ragiona in un modo che non è il nostro.
Il fatto (o uno dei fatti) è che noi non siamo assolutamente in grado di concepire nulla che non sia, tra le altre cose, inserito nel tempo.
Gli stessi concetti di “prima” e “dopo”, la successione degli eventi, la loro teleologia, hanno senso solo “nel tempo”; così anche l’idea stessa di noia.
Nella Bibbia, mi pare, si cerca, con i miseri mezzi della parola umana, di rimarcare proprio questo. “fin dall’inizio tu mi conoscevi” “nato dal padre prima di tutti i secoli”…..
Qualcosa di simile avviene nel mondo della ricerca scientifica “moderna”. Quando ci si avvicina al big bang, si dice che con esso ha inizio il tempo; e che non ha significato chiedersi che cosa ci fosse prima del big bang stesso.
Ancora, nel mondo della matematica, ogniqualvolta si toccano argomenti che hanno a che fare con l’infinito, entriamo in un vortice, davvero vertiginoso, di paradossi e di concetti inconcepibili.
Non per nulla, per secoli e millenni, l’idea stessa di infinito veniva negata “a priori”; e non per nulla, i matematici che più di tutti hanno approfondito il problema (Cantor e Godel) hanno avuto seri problemi psichiatrici.
antropomorfizzare o non antropomorfizzare ?
La preghiera di un pastore (Leggenda araba)
(Da: Leone Tolstoj, I quattro libri di lettura, Longanesi)
Mosè errava nel deserto. Incontrò un armento e udì, per caso, la preghiera che il pastore alzava al cielo.
-Signore!- pregava il pastore, -come arrivare fino a Te? Come diventare servo Tuo? Con quale gioia ti to¬glierei le scarpe, laverei i tuoi piedi, li bacerei, ripulirei i tuoi abiti, lavorerei nella tua casa e ti offrirei tutto il latte del mio armento! Il mio cuore sospira di essere presso di Te! –
Udendo questa preghiera, Mosè andò in collera e dis¬se al pastore: -Tu sei un empio. Dio è spirito. Egli non sa che farsi di abiti, non sa che farsi di una casa e di un servitore. Le tue parole sono prive di senso! –
Allora il pastore si rattristò e tacque mortificato, per¬ché non riusciva a rappresentarsi Dio senza corpo e privo di tutte le altre caratteristiche umane. Era proprio disperato.
Dio disse a Mosè: -Perché hai turbato ed allonta¬nato da me il mio fedele servitore? Ogni uomo ha un corpo e ciascuno pensa Dio conformemente alla propria umanità. Ciò che sarebbe male per te, è bene per un altro – .
Non credo che la vera questione sia qui l’antropomorfismo nella rappresentazione di Dio. Già dire che Dio è Padre è antroporfismo. La vera questione è un’altra, poiché sai bene che l’Islam accusa i Cristiani di essere triteisti. La concezione di un Dio trinitario è imprescindibile nell’immaginario cattolico.
Il discrimine poi, in tutta la storia del monoteismo, è quello tra vero culto e idolatria. Cosa bisogna concedere al bisogno dell’uomo di avere una rappresentazione di Dio secondo la propria misura? L’episodio del Vitello d’oro è emblematico, così come il sottrarsi di Gesù alle folle che volevano farlo re.
Nel corso della storia della divinizzazione dell’Essere, in questo specie di dramma che E. Gilson suggerisce sommariamente in tre atti ( Antropomorfismo, Ontomorfismo, Personalismo), tutte le esperienze religiose appariranno altrettante “ierofanie”, manifestazioni del sacro.
Oggi – sebbene la vita e la morte, nonostante gli accomodamenti di superficie, possano essere altrettanto tremende che ai tempi delle caverne – non viviamo più nel deserto come il pastore di Leone Tolstoj o di qualche leggenda araba, ansiosi di diventare i servi dell’Onnipotente ( come un sol corpo & con il culo in aria, tutti in adorazione di una specie di “creativo” Saddam Hussein cosmico ?) . E’ difficile che l’Onnipotente possa essere in qualche modo moderato.
Forse, più che tentare di spiegare al Dio del deserto come si fa a diventare “umano” alla Tolstoj o alla Jean Jacques Rousseau, talvolta è buono, giusto e più produttivo mettere a dieta l’immaginazione ( la famosa “pazza di casa”, come pare abbiano detto dell’immaginazione santa Teresa e Malebranche, o forse nessuno dei due ).
In nessun testo di santa Teresa ho mai trovato l’espressione “loca de la casa” e in nessun testo di Nicolas Malebranche si trova “folle du logis”, neanche in « De la recherche de la vérité. Où l’on traite de la Nature de l’Esprit de l’homme, et de l’usage qu’il en doit faire pour éviter l’erreur dans les Sciences », opera composta di sei libri, e di cui il libro II è dedicato « aux erreurs de l’imagination »).
Forse sarebbe il caso di cominciare a distinguere tra teologia e spiritualità. Quanto alla seconda, il mio maestro spirituale (ora abate di un monastero benedettino) diceva spesso che la preghiera più giusta è quella che ti mette realmente al cospetto di Dio.
Riguardo alla seconda, sono daccordo che non c’è teologia cristiana che non sia teologia trinitaria. Ma, su questo, non mi pare che si sia andati molto avanti rispetto agli ultimi due libri del “De Trinitate” di Agostino, dove si cerca di suggerire per analogie psicologiche (mens, notitia, amor) cosa possa significare la processione delle Persone Divine. Si tratta di materia molto difficile, il più grande filosofo cristiano contemporaneo (Lonergan) ne ha dato uno sviluppo ulteriore nella sua analisi dell’intelligenza. Ma sarebbe temerario pensare che chi non giunge a queste sottigliezze speculative non abbia diritto a parlare di Dio.
Errata corrige
Riguardo alla seconda = Riguardo alla prima
Nessuno, caro Valter, ha qui detto “che chi non giunge a queste sottigliezze speculative non abbia diritto a parlare di Dio”. Io sostengo semplicemente che la natura trinitaria di Dio è sigillata nel credo cristiano, e che non si può quindi far passare per immaginario cattolico un Dio creatore solitario e annoiato come quello di Mozzi. Che ha tutti i diritti di presentare la sua immagine di Dio, figuriamoci se uno come me glielo nega. Solo che non può presentare quel Dio creatore come il Dio della fede cattolica. Certo che spiritualità e teologia non sono la stessa cosa, ma nessuna delle due può prescindere dal Magistero (altrimenti siamo sì fuori dal Cattolicesimo). E di conseguenza nessun cattolico che voglia presentarsi come tale può farsi un’immagine di Dio che prescinda dal Credo. E il Credo niceno (325) costantinopolitano (381) anche se non usa il termine “Trinità” impone una concezione di Dio chiaramente trinitaria. Lo richiamo nei passaggi decisivi:
Credo in un solo Dio,
Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili ed invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
NATO DAL PADRE PRIMA DI TUTTI I SECOLIi:
Dio da Dio,
Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
PER MEZZO DI LUI TUTTE LE COSE SONO STATE CREATE.
Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio,
e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Ora, a me è sempre parso chiaro come un Dio che già in sé è circolazione d’amore, una sostanza in tre persone, cioè Amore già a prescindere dalla Creazione, consente di pensare quest’ultima come atto libero, non necessitato da nulla, e quindi fondamento della libertà essenziale di ogni persona. A differenza di un Dio solitario, che è tra l’altro quello che aveva in testa Freud, pura fonte della Legge. Del resto, questo spiega anche i guai che hanno incontrato e incontrano nel mondo islamico tutti quelli che esprimono una immagine amorosa di Allah, come i mistici, i Sufi, ecc. Per l’ortodossia islamica Allah non può essere amato, ma solo obbedito. Il Dio cristiano non è affatto un signore annoiato e solo, che per uscire dalla noia crea l’uomo (il che tra l’altro “temporalizza” l’eterno). Egli è sempre e solo Amore e Libertà, trinitariamente in atto.
D’accordo Valter sulla struttura del tutto aperta dello spirito umano. E che quello che importa non è parlare con maggiore o minore sottigliezza di Dio, ma l’accesso alla grazia Dio. Ciò non toglie che il Dio dell’immaginario cattolico non sia un Dio solitario e infelice o il Dio Gatto d’Egitto, ma quello che si rivela nella persona del Figlio, che col Padre e con lo Spirito Santo è un solo Dio. Sostenere che la SS Trinità non sia un punto fondamentale e irrinunciabile della fede cattolica, avanzando il primato della “spiritualità”, dell’ “umanità” o della libera ricerca “creativa”, non è proibito, ma semplicemente infondato. Non capisco come una tale evidenza possa sfuggire a un autore che si dice “cattolico” e che, fin dal titolo, promette buoni e sensati motivi per essere tale. Pacta sunt servanda, altrimenti si corre il rischio, mi pare, di trasformarsi da credenti in uomini poco credibili, in un giro senza fine di travestimenti multipli. In tal senso, suggerivo ( anche a me stesso, forse perché ne sono, in coscienza, ahimè, particolarmente tormentato) di mettere a dieta l’immaginazione.
P.S. Mettere a dieta l’immaginazione ? Non è facile ed è quello che peraltro consiglia, sulla base di una lunga e provata esperienza, anche il Magistero della Chiesa cattolica, della cui, come dire, “beneficenza” i liberi e soggettivi creatori sembrano, a torto o a ragione, non voler più sentir parlare.
D’altra parte, se la libertà creativa soggettiva fosse un tutto illimitato – privo del limes, liberamente scelto, del disinteresse e della fedeltà – un soggetto “creativo” potrebbe anche, volendo, sostenere che gesù risorto sia il re degli zombi e dei vampiri. Questo « ladro di energie », come già osservava Rimbaud, non se ne sta forse alla porta e bussa ? E’ quello che mi diceva, poco tempo fa, un’amica scrittrice di racconti horror, mostrandomi l’ouroboro che si era fatto tatuare su un braccio. Un tale immaginario tra culla e bara ( tra le due sempiterne pulsioni ? ) più che aprire alla redenzione o salvezza sperata, potrebbe apparire in società e nei salotti editoriali come un “interessante” divertissement letterario ( magari un po’ alla Blaise Pascal diventato l’amante di qualche vampiro). Ma – dal punto di vista della semantica cattolica e della logica cristiana ( non dico del logos, del famigerato « gruppo logos ») forse sarebbe un immaginario da terra sconsacrata, una « divertente » profanazione più conforme all’inventiva di un “cattolico immaginario” che alla fede trinitaria, alla speranza e al senso dell’esperienza dei cattolici e della comunità dei cristiani, o perlomeno di quello che oggi ne resta, specialmente in Europa – trasformatasi, come per improvvisa amnesia, in un terra di dèi solitari e annoiati, sempre in partenza, erranti e molto disponibili a tutto, fosse anche, nonostante la sua bruttezza, all’adorazione del multiculturale e spiritualissimo Dio Gatto d’Egitto.
L’Europa è una penisoletta dell’Asia piena di strani tipi, dèi solitari e cattolici immaginari sempre in partenza e molto creativi & disponibili. Ma come si fa, dico io, a innamorarsi di un vampiro – e guai a dirle, all’amica scrittrice, che quello non è un angelo ma solo un satiro peloso : lei risponde infastidita che è il suo dio e che l’ama moltissimo. La struttura dello spirito umano è fin troppo aperta e chissà perché quella mia amica scrittrice & animalista s’innamora sempre dell’uomo, del dio e del mostro sbagliato. Lo sa il diavolo, ecco, che pare sia anche lui una persona molto spirituale.
Si vede che, proprio come lo sono quelli del Paradiso, anche i confini delll’Inferno sono alquanto permeabili al desiderio e alla libera e soggettiva « creatività ». Nessuna paura. O perlomeno non tanta. Anche Dante ha attraversato l’Inferno con un corpo e un’anima, ritornando poi a casa sano e salvo, grazie alla sua fede in Gesù Cristo e l’intercessione della beata vergine Maria ecc. Che tutti i liberi e soggettivi creatori possano ritornare a casa sani e salvi nel seno della SS Trinità, splendida nell’immaginazione dei cattolici, o peromeno di quello che ne resta in termini di attenzione, intelligenza, ragionevolezza, giocosità, concretezza, comunione, responsabilità. Ritornare a casa sani e salvi, ecco finalmente delle parole chiare. Forse dovrei mettere a dieta un’ immaginazione che non è solo mia, o perlomeno così pare. Esistono molte storie possibili, o anche impossibili come la recente introduzione, in Europa, della predicazione & adorazione del Dio Gatto d’Egitto. Può darsi che venga accolto in appositi edifici offerti dal buon Tettamanzi e politici e amministratori molto « creativi ». Ma ciò non toglie, a parte le sottigliezze teologiche, che la SS Trinità sia un punto fondamentale, vitale e irrinunciabile della fede e spiritualità cattolica in movimento e in comunione. A meno di non voler fare come alla fine fece nonno Tolstoj, che scappò di casa perché non sopportava più il prossimo, specialmente la moglie, e le cui ultime parole pare furono: «Svignarsela! Bisogna svignarsela!» . Ma questa è un’altra storia. :-)
errata corrige
o perlomeno di quello che ne resta in termini di attenzione
invece di:
o peromeno di quello che ne resta in termini di attenzione
Da questo post esce un thread veramente interessante, si potrebbe continuare all’infinito.
In sintesi vi farei osservare alcune cose:
1) i testi di Giulio e miei si completano (o meglio i secondi sviluppano su un piano teologico quello che i primi spesso esprimono nei termini dell'”anima naturaliter cristiana” di cui si è parlato anche in certa patristica.
2) se il libro viene letto nel suo insieme, non mi pare proprio che il dogma trinitario ne esca così negletto
3) la 2disciplina” dell’immaginazione è esattamente quello che ci siamo proposti di fare, prima facendola fiorire e poi orientandola teologicamente
4) Michela Murgia, di cui potete leggere la recensione qui
http://valterbinaghi.wordpress.com/2011/07/16/cosa-ne-pensa-michela-murgia/
ci accusa dell’esatto contrario, cioè di essere subordinati acriticamente alla tradizione. Cioè ci becchiamo critiche a destra e a manca, il che un po’ mi consola, perchè la verità cattolica, come sosteneva qualcuno, è paradossale, e soffre la formula definita.