Le volpi vengono di notte (2009, trad. it. di F. Ferrari, Iperborea 2010) è un bel libro di racconti di Cees Nooteboom. L’evanescenza delle storie che vi sono narrate, con grande forza di suggestione, ben corrisponde al tema, che è il divenire di tutte le cose, e di noi e delle nostre relazioni. Di noi, qui intesi come esseri che sorgono dal nulla per poi esservi risucchiati. Perdite di amici, perdite di amanti. Qui tutto è perdita, e melanconica contemplazione della perdita. Nichilismo con sprazzi su di un altrove inafferrabile.
Il racconto più problematico (stavo per scrivere il racconto che non funziona) è Paula II, dove l’io narrante è quello di una morta. Ma il dove di quella morta, un luogo che è un non-luogo di non-relazione, cioè il nulla, non consente che esista alcun soggetto parlante. Pure qui parla, e dice la sua condizione. E non c’è niente da fare: il mondo dei morti è vietato al narratore contemporaneo, e quando egli vi vuole in qualche modo accedere, o cade nel ridicolo, o nelle contraddizioni più insolubili come qui Nooteboom. Dovrebbe tenersene lontano, e accontentarsi del limite, della soglia.
eppure spesso lo scrittore scrive di cose che non conosce…
(se ha una fervida fantasia)
evidentemente questa cosa con la morte non funziona.
(forse perchè la morte non la possiede;-).
grazie per l’interessante segnalazione….
il commento di Fabio mi incuriosisce e penso di leggere il libro, anche se ora come ora cerco qualcosa di un po’ costruttivo