Sono un conservatore. Uno dei miei crucci è che in Italia non si possa dirsi tali, che da noi domini la retorica del cambiamento. Che non ci sia un partito politico che voglia conservare (anzitutto l’aspetto fisico dell’Italia). Essendo un conservatore, amo Guicciardini, di un amore profondo, fin dalla seconda liceo.
E’ cittadini che vivono nelle repubbliche, quando la cittá ha uno stato tollerabile benché con qualche difetto, non cerchino mutarlo per averne uno migliore, perché quasi sempre si peggiora; non essendo in potestá di chi lo muta fare che el governo nuovo sia apunto secondo el disegno e pensiero suo.
Francesco Guicciardini, Ricordi I, 21
La retorica del cambiamento, in realtà, ci riconduce al vecchio “Bisogna cambiare perché nulla cambi.”
La verità e che nel nostro Paese, in realtà, nessuno desidera in cuor suo una qualsivoglia rivoluzione: non rientra nel carattere impigrito e negativamente atarassico nazionale.
Il Guicciardini, allora -se posso tentare una sua lettura moderna-, avrebbe giudicato “sbagliato” il plebiscito popolare che ha portato Berlusconi al governo e “prudente” il vecchio “equilibrio” della prima Repubblica?
Per la società civile, alla resa dei conti, non è cambiato nulla: a star male sono ancora e saranno sempre i soliti noti.
In realtà, nella struttura della società italiana ci sono stati grandi cambiamenti. Basta guardare il Veneto di cinquant’anni fa. Ma, dominando gli accidenti, il conservatore è più prudente dell’innovatore.