Nella sezione de I Monti Pallidi intitolata I figli del sole è narrato il mito d’origine della famiglia Ghedina, alla quale apparteneva mia madre.
LA PITTRICE DEL MONTE FALORIA
A levante dì Cortina d’Ampezzo si erge la grande massa del Soràpis, una propaggine del quale è il monte Falòria, che fu dai pagani venerato come sacro. Dalle sue falde scaturisce la Bigontina, e, dolcemente adagiate sulle colline verdi, biancheggiano le antichissime borgatelle di Alverà, Pocòl, Cojanna e Fraína.
Gino Ghedina, La figlia Teresa (mia madre)
Fraina è ritenuto il piú antico dei villaggi oggi esistenti nell’Ampezzano, ma molto tempo prima di esso già esistevano altri paesi, che andarono poi distrutti; ad esempio Miljera, che fu atterrata da una di quelle frane per le quali è tristemente famosa la valle del Bòite, e i cui superstiti eressero appunto Fraína. In epoca remota, Miljera era l’unico villaggio che si trovasse sulla sponda sinistra della Bigontina: sulla destra, dove oggi è Grava, e sul versante occidentale della vallata c’erano alcuni gruppi di case ora scomparsi: di taluno si conoscono ancora i nomi, come Fernamusino e Fernacoraso. Miljera li superava di molto per la ricchezza
delle sue campagne, per la solidità delle sue case, per il numero degli abitanti; ed era riconosciuta capoluogo di tutta la regione. Sopra Miljera, su per le coste del Monte Falòria, erano sparsi templi e luoghi sacri alle divinità pagane; ma a un certo punto anche queste ultime tracce della presenza dell’uomo cessavano, e cominciava un gran deserto, nel quale eran compresi non solo i dirupi del Soràpis, ma anche la larga conca della Bigontina, il passo che porta a Misurina e le collinette di Regujetta e Sonfaroja, fino alla foresta Sommadida. Anche oggi il viandante che, passando per Misurina, guardi sopra l’infossatura del Rudavòi, resta colpito dall’immenso e selvaggio scenario del Soràpis. Questa regione si chiama Banco e i pastori di Valbona chiamano tutto il massiccio del Soràpis Crodes del Banco.
In tempi antichissimi soltanto uomini selvaggi si aggiravano in questa regione deserta; appena qualche audace cacciatore, risalendo la Bigontina, si spingeva fino al Laudo, ultima sporgenza del Soràpis verso il Nord: ma oltre il Laudo non era mai andata anima viva. Nella vallata inferiore della Bigontina, là dove oggi sono i villaggi di Verocài e Alverà con le loro praterie, allora esisteva solamente un pascolo con una malga (Britte). La gente che lavorava nella malga vedeva spesso, sul margine del bosco, una ragazza bella e timida, che, se si tentava di rivolgerle la parola, scompariva immediatamente fra i fittissimi abeti. Un giorno però parlò con un bambino, che era salito alla malga con la sua mamma: gli donò alcune fragole appena colte, e gli disse fra altre cose:
– Io son buona con chi è buono; ma, se si è cattivi con me, posso diventare anch’io molto cattiva.
Il piccino corse a riferire queste parole strane a sua madre e alla brittèra (la donna che teneva la malga). Poco tempo dopo la gente della malga, lavorando vicino al bosco, trovò un cestello che doveva essere stato dimenticato dalla ragazza misteriosa. Uno dei giovani mietitori voleva farlo a pezzi, ma la brittèra si oppose.
– Perché fare un dispetto a questa ragazza che non conosciamo? Invece riempiamo questo cestino di fragole, e lasciamolo qui.
E cosí fu fatto. Per qualche tempo la giovane non si fece vedere; ma un giorno che la brittèra si era ammalata e gli uomini non avevano piú nessuno per far loro da mangiare e aver cura della malga, ecco presentarsi all’improvviso la sconosciuta, e chiedere all’ammalata di sostituirla nelle sue faccende. E, accolta con piacere, si disimpegnò cosí bene da meritarsi le lodi di tutti. Da allora fece amicizia con la gente della malga e prese l’abitudine di venire spesso da loro, specialmente verso mezzogiorno. Portava sempre un modesto abito grigio; era agile e snella, aveva belle manine e dita sottili, occhi grandi e profondi, capelli nerissimi. Non volle mai dire come si chiamasse, e soltanto fece capire che la sua dimora era sul monte Falòria. (I, continua)