Contro il fanatismo (The Tubingen Lectures. Three Lectures, 2002, trad. it. di E. Loewenthal, Feltrinelli, Milano 2004) contiene le conferenze tenute da Amos Oz sul tema del rapporto tra Israeliani e Palestinesi. Dovrebbero leggerlo tutti coloro che pensano di aver capito tutto della questione mediorientale. Ma si sa che la saggezza è per pochi, e che il fanatismo è per molti. È un virus dal quale solo la pratica della saggezza può rendere immuni. Essendo saggio, Oz è ovviamente anticonformista, e la sua idea del compromesso nella divisione fra i due popoli può apparire impraticabile. Il problema della Palestina è che tutti hanno ragione e tutti torto, e che bisogna iniziare dalla rinuncia ad una parte della propria ragione e dalla comprensione dell’opposta ragione dell’altro.
Gli europei benpensanti, gli europei di sinistra, gli intellettuali europei, gli europei liberali, com’è noto, hanno sempre bisogno di sapere per prima cosa chi sono i “buoni” e chi i “cattivi” in un film. Ora, a proposito del Vietnam era molto facile, sapevamo perfettamente che il popolo vietnamita era la vittima e gli americani erano i cattivi. Per l’apartheid era facile, si dichiarava senza esitazione che quello era peccato, mentre la lotta per i diritti civili, per la liberazione e l’uguaglianza e la dignità umana, quella era giusta. La guerra fra colonialismo e imperialismo su un fronte, e le vittime del colonialismo e dell’imperialismo sull’altro, è relativamente semplice – si può individuare con facilità chi sono i buoni e chi i cattivi. Quando invece si arriva alle radici del conflitto arabo-israeliano, e in particolare ai conflitti israelo-palestinesi, le cose non sono più così semplici. E temo che non le renderò più facili per voi dicendovi: questi sono gli angeli, questi i demoni, non dovete fare altro che sostenere i primi, e il bene prevarrà sul male. Non è così semplice, amici miei, non è così semplice perché il conflitto israelo-palestinese non è un film western. Non è una lotta fra bene e male, la considero piuttosto come una tragedia antica, nell’accezione più precisa che la parola assume: lo scontro fra un diritto e un altro, fra una rivendicazione profonda, pregnante, convincente, e un’altra assai diversa ma non meno convincente, pregnante, non meno umana. (p. 58 )
Direi come mia nonna: Lascia che si arrangino, tanto son tutti uguali:-)
L’ha ribloggato su Brotture.