Leggere Lolita a Teheran

 

Il matrimonio è anzitutto una questione di potere e di libertà. Una società non è libera se i suoi membri di sesso femminile non possono scegliere liberamente chi sposare (e nell’Iran khomeinista non possono farlo e non possono fare molte altre cose). I grandi romanzi occidentali, come Lolita, Il grande Gatsby e Orgoglio e pregiudizio, che Nazar Nafisi analizza con acume, sono fattori di liberazione, perché mettono in luce il conflitto tra le ragioni dell’individuo che vuole essere libero e la logica del potere totalitario che vuole far sognare a tutti il suo proprio sogno. Sono le idee fondamentali espresse da Nazar Nafisi nel suo Leggere Lolita a Teheran (Reading Lolita in Tehran, 2003, trad. it. di R. Serrai, Adelphi, Milano 2004). Un libro che dice molto sulla condizione femminile, sul matrimonio e sul potere, scritto da una studiosa di letteratura inglese che insegnò per anni in condizioni difficilissime in un’università iraniana.
Eppure a questo libro, che è un ibrido tra romanzo, testimonianza e saggio, manca qualcosa di importante. Mancano le ragioni dell’altro (in questo caso dei fondamentalisti), che qui appare solo come assurdo, violento, puramente negativo e inconcepibile. L’elemento religioso, poi, dalla laica Nafisi non è minimamente investigato, resta un corpo estraneo. Quindi anche il passaggio dalla libertà delle donne sotto lo Scià all’asservimento fondamentalista rimane inspiegato. Mi vengono in mente le pagine di Elias Canetti sulla massa del lamento che certamente la Nafisi non ha letto, pagine che illuminano la differenza dell’Islam sciita da quello sunnita. C’è in Leggere Lolita a Teheran solo un breve passo che evidenzia la perduta possibilità che questo fosse più che un libro interessante, un grande libro:

Di lì a poco sarebbe stato pubblicato il libro delle poesie sufi che Khomeini aveva dedicato alla nuora. Una volta morto si sentiva il bisogno di umanizzarlo, una cosa a cui da vivo lui si era sempre opposto. E, come dimostrano quelle poesie, un lato umano lo aveva davvero, anche se si era sem­pre sforzato di nasconderlo. Nell’Introduzione al libro, la bella e giovane nuora racconta del tempo trascorso insieme a Khomeini a parlare di filosofia e misticismo, e di quando gli aveva regalato il taccuino su cui poi erano state scritte le poesie. Lessi che aveva i capelli biondi, e cercai di immagi­narla mentre passeggiava insieme al vecchio, in giardino, conversando di massimi sistemi. Portava il velo in sua pre­senza? Lui si appoggiava a lei mentre camminavano intorno alle aiuole? Comprai una copia del libro e la portai con me in America, insieme ai volantini, rimasugli di un tempo la cui realtà mi sembra così fragile, talvolta, che ho bisogno di quelle prove concrete per dimostrare a me stessa la sua fu­gace esistenza.  (p. 273)

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