È sulla base dell’universale tendenza all’ordine che Mancuso fa riposare la non implausibilità dell’idea che si dia un ultimo stadio della vita dell’anima, la sua immortalità, il penultimo essendo quello della perfezione della vita morale e spirituale “che a volte appare negli uomini” (p. 123). Naturalmente, data l’impostazione intellettualistica di questo libro, la sopravvivenza dell’anima si darà nella forma di “puro pensiero” (p. 123).
Ma quest’anima in forma di puro pensiero dovrebbe essere personale. Come può darsi ciò? Può darsi, secondo Mancuso, soltanto se l’ordine impersonale del Principio Ordinatore rimanda ad un Principio trascendente di tipo personale (p. 132). Ma questo rimandare appare del tutto infondato. Mancuso infatti discende dall’argomentazione all’intuizione, scandita in termini quasi lirici alle pp. 132 – 134. Ma è un’intuizione confusa, che genera confusione nel lettore. Poiché l’amore è possibile solo nell’incontro tra persone, ma il Principio Ordinatore, che è il Logos, è impersonale, e questo Logos si è manifestato come persona in Gesù, io non capisco Mancuso. O forse sì. Leggiamo questo passo a p. 134:
È questo amore che la mia religione pone quale sorgente e meta dell’essere. Il cuore della religione cristiana è l’idea che il Principio Ordinatore del mondo (il Logos) rimanda a un Principio Personale (il Dio trinitario). La mia religione dice che il Logos impersonale immanente al mondo si è manifestato come persona, perché c’è stato un uomo, Gesù di Nazaret, che l’ha perfettamente riprodotto in se stesso, ha perfettamente attuato in sé e fuori di sé la logica dell’armonia cosmica, la relazione ordinata, che nel suo vertice si chiama amore. Lo ha fatto al punto tale che guardando a lui è possibile comprendere che il Principio Primo dell’essere è in se stesso relazione (in questo senso è trino) ed è in se stesso amore (in questo senso è uno). Nell’evento dell’incarnazione del Logos è contenuta la più alta custodia del mistero della persona umana. Questo è il cuore del Cristianesimo, questo è ciò che esso ha consegnato all’Occidente, la terra dove, non certo a caso, sono nati i diritti dell’uomo.
Sulla base di queste argomentazioni ritengo sia ragionevole sostenere che la quinta discontinuità all’interno del processo evolutivo dell’energia cosmica possa condurre a una vita oltre la morte di tipo personale.
Ma come può la logica dell’armonia cosmica data da un Principio Ordinatore impersonale essere, nel suo vertice, amore personale? Poiché il Logos in verità per i cristiani non è il Principio Ordinatore impersonale come differente da Dio, ma è Dio stesso. In principio era il Logos, e il Logos era presso Dio, e il Logos era Dio. Qui in Mancuso mi pare che vi sia davvero confusione, e io non trovo ulteriori appigli per continuare un’analisi di questo libro. Mi fermo prima della metà. Nella parte rimanente si confermano infatti tutti i caratteri dell’impostazione mancusiana: ne risulta un cristianesimo astorico, con un rifiuto totale della categoria di futuro in teologia (p. 298), poiché l’eternità è l’unica vera dimensione del divino. Ma soprattutto vi si constata la vera assenza di una distinzione tra il mondo come natura-physis e il mondo come storia. Dunque addio rivelazione storica, addio storia sacra, addio centralità di quella croce lì, piantata dai legionari romani in un preciso anno della storia del mondo e non in un altro. Addio umanità piena dell’uomo di carne ed ossa, addio carne biblica. Spiritualismo contemplativo, sguardo che si perde nella luce dell’essere-energia, oblio della tragedia. Alla carne sofferente, alle carni sofferenti di questo mondo lacerato si prospetta la salvezza come idea dell’uomo-pensiero che, non si sa come, dovrebbe permanere eterno io separato dal mondo, dal tempo, dallo spazio e differente dagli altri io, metà tà physikà. Amen.
Penso che il tuo disappunto, non nei confronti del tentativo di Mancuso – comunque meritorio, si capisce – ma del suo esito, sia di natura abbastanza differente dal mio, però mi è piaciuto molto assistere a questa tua “dissezione”.
Se il funzionamento di questi nostri ambiti avesse un carattere di autenticità un poco più “garantito”, qualcuno dovrebbe avvertire Mancuso di quest’analisi – assai distante dalle chiacchiere untuose dei “lit-blog” – ed egli dovrebbe avvertire l’opportunità di rispondere, rilanciando sulle diverse questioni.
Invece, ho proprio l’impressione che troppo (purtroppo) in simili faccende sia determinato dalle “logiche di campo” (teologico/pubblicistico, in questo caso) le quali, prefissando al pensiero dei limiti di percorribilità abbastanza arbitrari, delineano delle opportunità “architetturali” [di gonfiare d’erudizione e confuse suggestioni qualche avviluppo di “misteri” che nella loro essenza (ovvero “depurati” da certe aderenze obbligatorie di pensiero) si trovano, altrove, in fase ben più avanzata] altrettanto arbitrarie. E’ noto che da una sola proposizione falsa si può dedurre qualsiasi cosa, figurarsi se non sia possibile dedurre dalle Sacre Scritture e dalla Fede – con un rigore formale e filologico reso assolutamente patetico dalle balzane premesse – quanto ci sta più segretamente a cuore. Ma per un pubblico intriso di speranza e “buona volontà culturale” tutto questo è più che sufficiente.
Mi colpisce enormemente che persone dotate di una cultura apparentemente formidabile (almeno per estensione e “densità”) come ad esempio il pur ottimo G.Fornari, non si accorgano quando insensibilmente superano, appoggiandosi al sentimento, “le pastoie della ragione”, cominciando a camminare nell’aria, come Wil Coyote quando varca l’orlo del suo consueto precipizio.
Già. Per la verità, ho avuto in passato qualche breve scambio con Mancuso, di cui invero ho grande stima. Penso di lui un gran bene per quanto riguarda la sua libertà intellettuale. Penso anche però di lui, come di tutti i teologi (e non solo), che scrive troppo. Dovrebbe lasciar passare anni fra un libro e l’altro, ascesi anche questa, e sommamente importante in questi tempi loquaci. Forse gli manderò il testo che ricaverò dai nove post, ma non ho ancora deciso.
Mi è venuto un pensiero maligno: chissà se esistono gli editor di teologia…
Quanto all ragione, penso che ne circolino versioni molto differenti, e differentemente fuse con vari tipi di fede e credenza: ragioni insomma. Del resto, c’è anche il furor mathematicus. E non è Dio che pensa sé stesso nell’atto di pensare, è l’umano: e questa è la verità dell’idealismo.