«Mettere a fuoco l’anima dentro il ciarpame del corpo è sempre un lavoro difficile. Certe anime sono a cielo aperto, esposte all’ardore del sole, altre invece sono nascoste nel profondo, e bisogna saltare tonnellate di scorie verbali per riuscire a intravederle». (p. 115) Questo è detto a proposito di un vecchio, un nonno di molti bambini, che vive un crepuscolo della vita miserevole, invalido e privo di parola, e col soprannome di General Pattume, nell’incantevole romanzo di Göran Tunström Il ladro della Bibbia (Tjuven, 1986, trad. it. F. Ferrari, Iperborea, Milano 2006). Ma l’intero romanzo è un romanzo sulle anime, sulla loro vocazione all’apertura e sul rischio di una chiusura soffocante che sempre debbono affrontare e non sempre riescono a superare. La ricca galleria di personaggi del libro fornisce esempi di anime che riescono a mantenere un’apertura all’altro e all’amore, una forma di trascendenza, ed esempi opposti di anime che invece si chiudono, in modi e per cause differenti, e per dir così si oggettivizzano e si disumanizzano. Tra queste spicca il personaggio principale, il nanerottolo Johan, che impiega la sua straordinaria intelligenza in una folle ricerca sulla lingua gotica, arrivando ad indentificarsi con lo scriba di Teodorico, impegnato nella analoga folle impresa di ultimare la realizzazione di una splendida Bibbia in gotico mentre intorno infuria la guerra coi Bizantini e il popolo dei Goti sta per sparire dalla faccia della terra, con la coscienza che quel mirabile libro non sarà letto da nessuno. Ma spicca anche una delle figure del padre più negative dell’intera storia della letteratura mondiale, lo stupido e violento Fredrik, la cui vita ruota intorno alla bottiglia e al suo pene.
Estrema incarnazione dell’intellettuale novecentesco intimamente vocato al fallimento, Johan è anche corpo: un corpo mal riuscito e sofferente. La grandezza del romanzo di Tunström si manifesta anche nel modo in cui sono narrati i corpi. Ci sono persone fisicamente invalide in cui vive ancora un’anima aperta, e persone fisicamente ben dotate in cui l’anima è chiusa e come morta, ci sono giganti e nani, e donne in cui l’anima non è uccisa da una condizione di continue angherie e continue gravidanze. Tunström crea personaggi con tocco lieve ma deciso di scultore romanzesco. Basti pensare al vecchio prete cattolico, un nanetto anche lui, e anche lui grande (e strambo) intellettuale e teologo, la cui definizione di Dio è sconcertante e illuminante («Egli è assenza di ogni assenza», p. 337). Infine, un romanzo che sfiora il nichilismo lo supera non con una ingenua posizione del positivo, ma in una forma dialettica, che è l’unica ammissibile nella letteratura post-novecentesca e post-millenniale.

Questo testo mi era totalmente sconosciuto e pure il suo autore. Dalle poche righe che ho letto e dalla presentazione che ne hai fatto mi ha talmente incuriosita che mi ripropongo di leggerlo al più presto. Chi riesce a sondare le anime, se pur in letteratura, mi affascina, poichè mi aiuta un po a capire me stessa e chi mi circonda
Libro molto bello, autore molto interessante.
scusa, Fabio, ma come fai a scovare questi libri eccezionali? Grazie, eh!
Leggo i cataloghi…
L’ha ribloggato su Brotture.