AUTISMO COME DONO?

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Fabio Brotto

AUTISMO COME DONO? Così definisce Greta Thunberg in un suo post su Facebook il 2 febbraio la propria condizione: “L’Asperger non è una malattia, è un dono”. Anche questo può far capire quanto sia profonda la voragine che divide, nel campo dell’autismo, i soggetti ad alto e altissimo funzionamento intellettivo da quelli a basso funzionamento. Greta ha una diagnosi, è nello SPETTRO dell’autismo. Come mio figlio Guido, che non parla e non comprende il discorso, ha un autismo severo, ed è all’altro capo dello stesso SPETTRO. Greta sa che lei un giorno morirà, che tutti i viventi sono mortali, che l’intero pianeta è mortale. E’ intelligentissima, e sorride raramente, nelle foto appare quasi sempre cupa, forse per l’alta consapevolezza delle cose. Guido non sa che i viventi muoiono, non sa che esiste la morte, è quasi sempre sorridente. Per lui “cambiamento climatico” è solo un suono. Per me la parola AUTISMO significa ben poco.

5 pensieri su “AUTISMO COME DONO?

  1. Avere un figlio con una mente fuori dal comune: di solito questa espressione si usa per indicare una condizione eccezionalmente produttiva, genialoide, come usa ora dire “performante” (orrendo). Invece “fuori” vuol dire solo fuori, fuori dalla fila ordinata come quella degli studi di funzione che facevamo a scuola, iperbole, parabolaprodotti razionali e prevedibili nel loro comportamento e in base a questo definibili (mai molto convinta). Le menti fuori dal comune sono fuori dal previsto, perchè di solito non si fa così, non si vive in questo modo, perchè il “comune” è quanto basta e se avanza meglio, per cavarsela, dopo una certa giovane età.
    Le menti dentro il comune raramente pensano alle menti fuori, non credo dedichino molte riflessioni, fino a quando non ne capita una proprio a loro. Un figlio, un fratello, o un parente di cui in casa si parla poco e di corsa.
    Io sono tra le menti dentro il comune che pensano molto a quelle fuori, mi sarebbe impossibile evitarlo, diversamente non so se lo avrei mai fatto, sarebbe stata un’altra storia, che non so.
    Recentemente sono arrivata a questo punto, nel mio rimuginare, da anni: tutti noi siamo un unico sistema (non lo dico per nozione acquisita, me lo sento proprio) e ciascuno svolge una propria parte nell’equilibrio generale. Senza i “fuori dal comune”, il dentro non potrebbe reggere, collasserebbe. I dentro fanno tutto per benino e spesso ricavandone una comune gioia, perchè a disperarsi, ubriacarsi, sfondarsi di droga, vivere da barboni, parlare con la televisone, non parlare affatto, sentire le voci, svuotare un patrimonio al gioco, tagliarsi i polsi, chiudere le comunicazioni o mai aprirle, ci pensano loro, quelli fuori. Come faremmo senza di loro, senza questi stabilizzatori del comune funzionamento, grazie ai quali possiamo saperci dentro? Lo dico con rispetto estremo, sapendo benissimo che è una sofferenza micidiale quando si tratta di un figlio: voglio tanto bene alle persone fuori dal comune, al loro esserci, per lo più soffrendo, le ringrazio con tutto il bene che posso mandare loro. Dalla nostra posizone preordinata dentro la curva razionalmente definita possiamo almeno allungare un braccio, protenderci verso di loro, appena lì fuori, tenerci per mano, condividere un pochino della vita che la sorte ha assegnato a ciascuno. Solo per farsi, quanto possibile, un po’ di compagnia. E vedere manifesta in loro la piccola scheggia mai impazzita che abbiamo dentro, silente e inespressa. (è vero, autismo è un vecchio termine, che dice troppe cose che non c’entrano poi tanto tra loro)

  2. Grazie del commento. In questi ultimi 20 anni ho conosciuto molte persone con autismo e molte famiglie. Tra i “neurodiversi” le diversità sono infinite. Io sono padre di un ragazzo di 20 anni che non ha mai detto una parola, non capisce il discorso, ha un grave ritardo mentale e un corpo perfetto e forte. Una vita difficile, diciamo… Buona giornata

    1. Grazie per avermi ospitata. Lo so, una vita perennemente in salita, anche con ricadute da cui ripartire e arrampicarsi di nuovo. E’ così.

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