Roma ladrona

La più immediata preoccupazione fu poi quella del denaro, e, a un esame circostanziato, il più giusto parve trarlo proprio di dove ne derivava la causa di scarsezza. Due miliardi e duecento milioni di sesterzi erano da Nerone stati sperperati in largizioni. Ne ordinò Galba il recupero presso ciascuno, ai singoli solo lasciando la decima parte dei donativi. Ma n’era a costoro rimasto si è no tal decimo, prodighi com’erano stati dell’altrui come già del proprio, ai più rapaci e ai più disperati restando non terreni o capitali, ma unicamente gli strumenti del vizio. Addetti al recupero furono trenta cavalieri, ufficio insolito, e per gli intrighi e per il numero di implicati gravoso. In ogni dove vendite all’incanto e compratori, e la città sconvolta dagli atti giudiziari. D’altronde era un’allegrezza da non dire vedere ridotti così al verde quelli da Nerone impinguati come i già prima da lui spogliati. Dimessi di carica furono in quei giorni i tribuni Antonio Tauro e Antonio Nasone delle coorti pretorie, Emilio Pacense delle urbane, Giulio Frontone dei vigili. Ma non valse il rimedio per gli altri, cominciato a insinuarsi il timore d’essere l’un dopo l’altro buttati fuori per una politica di paura, di sospetto contro tutti.

Tacito, Storie I, XX  (trad. F Mascialino, Zanichelli1983)