LE RAMBLAS E IL NULLA

ramblas

Bella riflessione di Carlo Ossola sul Sole 24 ore di oggi, intitolata “La necessità del lutto”. In cui si legge: “Permettere che il commercio, il passeggio, il su e giù dei turisti (perché altro non c’è nelle Ramblas) riprendessero come se nulla fosse, appena rimossi i segni di morte, non è solo un’offesa alle vittime, ma ancora il cedimento speculare alla visione degli assassini. Qui, come a Nizza, essi falciando pedoni ignari dichiarano che l’uomo non vale nulla; è un birillo da buttar giù in fretta; ma la risposta che diamo è del tutto simmetrica: anche noi diciamo che l’uomo non vale nulla, perché occultiamo nell’indifferenza la morte, e riprendiamo al più presto i traffici quotidiani”.
Sono d’accordo. Noi non vogliamo accettare l’idea che le nostre spensierate vacanze edonistiche siano finite, e di conseguenza ficchiamo la testa sotto la sabbia. A questo livello, non è in atto uno scontro di civiltà ma un incontro di nichilismi.
E tuttavia non penso che il fiume si possa arrestare o che si possa mutare la sua direzione. Perché molti sono i segni del fatto che la vita dell’individuo in Occidente da un lato è assolutizzata come Il Valore, da cui sgorga il supremo «diritto di avere diritti», per usare l’espressione di Rodotà, dall’altro è mercificata e ridotta a nulla, manipolabile fin nel ventre materno ed acquistabile sul mercato dei figli, così nullificata da comportare pene minime per chi la toglie ad un altro. Pensiamo solo alla idea di PUNIZIONE, da un lato espulsa da ogni contesto, dalla famiglia alla scuola all’alta cultura, dall’altro circolante nelle viscere della società come ricerca affannosa di un capro espiatorio.
Siamo lotofagi sprofondati nell’oblio, ci sveglieremo troppo tardi.

La strage di Orlando

pulse_orlando_shooting_scene_a_popular_lgbt_club_where_employees_patrons_like_family_m8

Considerazioni sulla strage di Orlando, così come mi vengono.
1. L’omofobia del terrorista Omar M. è strettamente legata alla sua identificazione nell’islamismo jihadista. Scindere i due elementi porta fuori strada: anche nei paesi islamici più tolleranti un locale come il Pulse Club di Orlando sarebbe del tutto impensabile, e le forme di omosessualità accettate socialmente in tutto il mondo musulmano sono solo quelle sommerse e invisibili. In nessun paese islamico può prosperare, manifestandosi e lottando per i suoi diritti, una comunità LGBT.
2. Attaccare l’Islam in quanto tale per fatti del genere è pericolosissimo, perché non fa altro che accrescere l’odio inter-religioso e spingere nuovi credenti nelle reti dell’ISIS. Chi tra gli occidentali vuole lo scontro totale con l’Islam come religione deve dichiarare di volere anche un mare di sangue, incommensurabile con quello che viene versato ora. C’è bisogno di un impegno culturale immane, al fine di superare quella che deve essere compresa come una guerra di culture in corso, anche entro l’Islam. La possibilità di un mare di sangue, tuttavia, solo un accecato oggi la può escludere.
3. L’Islam jihadista ha una forte capacità di contagio, grazie anche all’internet. La comunità musulmana nei paesi occidentali non sembra attualmente essere in grado di generare anticorpi adeguati.
4. Ritenere che il jihadismo sia un prodotto di povertà ed emarginazione è mera insensatezza: atti di violenza sfrenata vengono compiuti in nome di Dio da persone perfettamente integrate nelle società ricche, figli di genitori integratissimi, come Omar Mateen. Ergo, lo scontro è culturale, e il detonatore massimo è il sesso, il locus in cui agli occhi di una buona parte dei musulmani, e non dei soli jihadisti, si palesa la totale corruzione morale dell’occidente: nell’emancipazione della donna, nell’esistenza stessa di un mondo LGBT pubblico e socialmente accettato.
5. Domanda. Cosa accadrà in una globalità multiculturale in cui la comunità musulmana crescerà di numero, offrendo al suo interno l’humus culturale (anzitutto bloccando qualsiasi possibilità di studio storico-critico del Corano) per lo sviluppo di cellule mortifere?

Guerra è

europe911Noi piangiamo sulle vittime di Beirut e di Parigi (troppo poco sulle prime qui da noi, purtroppo). La galassia islamista sunnita sull’internet, invece, in queste ore sta esultando: in pochi giorni sono stati colpiti tre nemici di Daesh: gli Sciiti libanesi di Hezbollah, i Russi e i Francesi. Sotto sotto stanno esultando, però, pur se con falsa coscienza, anche quegli italiani che invocano misure forti, che plaudono all’uso delle armi da parte dei cittadini, che sognano l’espulsione di tutti i musulmani dall’Europa. Non parliamo poi dei cristianisti, cioè del corrispondente occidentale più pallido e meno coraggioso del fondamentalismo islamico, quelli disposti a combattere sì, ma solo per procura. Costoro non sanno nemmeno esattamente quel che vogliono (in questo accomunabili a tanti, anche tra i sognatori di sinistra e i progressisti risentiti di vario ordine e grado).
Appare assolutamente chiaro come vi sia una profonda differenza tra l’attacco a Charlie Hebdo e il massacro di ieri. Mentre il primo aveva un obiettivo chiaramente definito, un nemico ideologico da colpire, e il terrore ne era una prevedibile ma secondaria conseguenza, nell’evento del 13 novembre il fine unico è il terrore generalizzato. Se gli islamisti sunniti disponessero di una propria aviazione militare bombarderebbero indiscriminatamente le città occidentali, farebbero dell’Europa una Siria. Si tratta dunque di un terrore bellico, che si abbatte su Parigi per motivi simbolici ma anche pratici, perché la cintura delle banlieues offre un ambiente dove si possono diffondere e trovare rifugi sicuri l’appoggio ideologico a Daesh e l’estremismo armato. L’11 settembre per l’Europa è arrivato un 13 novembre, ma l’Europa è molto più fragile degli USA, e frammentata. Un italiano fatica ancora oggi a sentire come sua una sventura che colpisce dei francesi, e viceversa. Ma quello che risulterà, proprio per questo, sarà un graduale svanire delle illusioni di partecipazione sulle quali si basano le nostre democrazie. Lo Stato, come si sa, ama lo stato d’eccezione, che sempre lo rafforza e che gli dà vigore, e che da sempre è connesso alla guerra, esterna o interna. Questa nuova guerra è esterna-interna, la più difficile che si possa immaginare, e con caratteri nuovi a causa della globalizzazione e della tecnologia delle comunicazioni. Ci aspettano tempi duri, e molto complicati, ai quali le menti troppo semplici o molto contorte, che sono la maggioranza, si riveleranno del tutto inadeguate, con esiti catastrofici.