Un cristianesimo possibile

A chi desideri leggere un libro che gli dia un saggio della teologia accademica italiana di oggi, dei suoi contenuti medi e del suo stile, consiglio Un cristianesimo possibile di Carmelo Dotolo. Sottotitolo: Tra postmodernità e ricerca religiosa (Queriniana 2007). Quattrocento pagine in teologichese, nelle quali c’è di tutto. Soprattutto c’è dentro una messe di note e di citazioni, che insieme costituiscono quasi due terzi del testo. Dotolo dà prova di grande erudizione, ma da bravo teologo ufficiale e clericale mostra una originalità di pensiero prossima allo zero, e una grande simpatia per formule fisse, quali la ricorrente “memoria rischiosa di Cristo”, la cui rischiosità il lettore fa fatica a mettere in relazione con la vita di un teologo accademico.
Come accade nella teologia accademica, nessun tema è affrontato con un pensiero libero e radicale, e per di più anche la tematica del sacro quando è toccata lo è senza il minimo riferimento al pensiero più forte degli ultimi decenni, che è quello di René Girard: un peccato ai miei occhi assolutamente imperdonabile. Leggendo libri come questo tu capisci anche come possa avere tanto successo l’opera di Vito Mancuso, che al di là di ogni considerazione critica ha il merito di affrontare davvero i problemi.

Nei gesti di liberazione dal male, nella figura della comunione indiscriminata con gli esclusi, gli ultimi, nella rottura con schemi religiosi e legalistíci di interpretazione della fede in Dio, la santità di Gesù si costituisce paradigma di una differente concezione dell’esperienza credente, capace di ricreare l’identità dell’uomo nella forza dell’agàpē. Ne consegue, come mostra il Nuovo Testamento, una trasformazione del sacro nel santo. Più precisamente, la metamorfosi del sacro non consiste nel passaggio dal sacro al santo, dal mistero tremendo e affascinante alla purezza etica, quanto nello spostamento decisivo verso una radicale personalizzazione della relazione fra il divino e l’uomo (p. 206). E sul sacro non si va al di là di questo.

Aggiungo un’altra considerazione. A mio parere oggi la questione prima della teologia è quella della sofferenza di Dio, un’idea che in molti teologi compare, senza però che il pensiero sia portato fino in fondo. Il tema della sofferenza di Dio (non del solo figlio in quanto uomo) è infatti legato alla questione del rapporto di Dio al tempo, e infine della assolutezza di Dio stesso e della sua eternità. Pensare ad un Assoluto sofferente infatti è impossibile, anche perché la sofferenza non si dà se non nello spazio e nel tempo. E qui si apre uno di quelli che io definisco buchi neri teologici. (cfr p. 254)