καὶ εὐθὺς ἀναβαίνων ἐκ τοῦ ὕδατος εἶδεν σχιζομένους τοὺς οὐρανοὺς καὶ τὸ πνεῦμα ὡς περιστερὰν καταβαῖνον εἰς αὐτόν·
E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba.
Fin dai miei primi anni mi è risultato del tutto inaccettabile il Cattolicesimo come mera consuetudine, come insieme di pratiche e riti, e di formule verbali nelle quali sia possibile credere un po’ sì e un po’ no, e senza coerenza alcuna. Se in gioco era la vita eterna, perché allora la gente era tutta uguale, e i comportamenti dei credenti e dei non credenti erano del tutto indistinguibili? Questa domanda mi assillò per anni, fino al punto che, intorno al mio sedicesimo compleanno, i nodi vennero al pettine e, come tanti altri coetanei, fui sul punto di abbandonare la pratica religiosa e la frequenza ai sacramenti. Già la confessione era per me difficile, perché mi sembrava ormai un affare puramente meccanico e vuoto, una faccenda in cui il prete era un semplice impiegato di una amministrazione burocratica. Stavo dunque per abbandonare l’interesse per la religione e la spiritualità cattolica, ma accadde che il cappellano della mia vecchia parrocchia, che avevo continuato a frequentare dopo il trasferimento della mia famiglia in una nuova abitazione, mi regalò un testo del cardinale Danielou, Dio e noi. Questo libro mi aprì il mondo della teologia e della storia delle religioni, offrendomi la possibilità di una mediazione razionale della fede. Debbo dunque il mio permanere, per quanto estrememente critico, all’interno della Chiesa ad un cappellano che qualche anno dopo gettò la tonaca per amore di una donna, e ad un cardinale che morì sulle scale della casa di una spogliarellista. Due personaggi che ho molto amato. Continua a leggere