Può essere a tratti strana l’impressione che si prova leggendo Heliopolis (Heliopolis, trad. it. di M. Guarducci, Guanda, Parma 2006) il romanzo di anticipazione che Jünger pubblicò nel 1949. Si ha la sensazione di leggere uno strano ibrido tra fantascienza e Goethe. Una visione complessa di una società dominata dalla tecnica ma ancora pervasa di umanesimo aristocratico, con intuizioni sul futuro tecnicizzato dell’umanità che si alternano a squarci di narrazione tradizionalissima, ma mai scontata. Come nel dibattito tra gli amici alle pagine 106 – 111, in cui ciascuno è chiamato a esprimere la propria idea della felicità, un passo che rimanda alle origini arcaiche della letteratura e della saggezza. C’è un brano che mi pare una vera profezia dei nostri anni (in parte ex eventu, ma solo in piccola parte), in cui soprattutto mi inquietano molto queste parole: Alla fine non c’era più nulla di insulso, di…
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