Religione è un termine molto ampio, con cui spesso si intendono realtà sociali, personali e spirituali molto distanti tra loro. Nel libro di Brendan Sweetman Religione e scienza. Un’introduzione (Religion and Science. An Introduction, 2010, trad. it. di A. Aguti, Queriniana 2014) forse è chiaro cosa l’autore intenda per scienza, ma un po’ meno lo statuto della religione, che mi pare un po’ ondeggiante, e non privo di approssimazioni, anche se sicuramente confinato al solo Cristianesimo.
La posizione di Sweetman, che ha come sfondo la situazione nordamericana in cui si scontrano scientismo radicale e fondamentalismo religioso con un accanimento ignoto agli Europei odierni, è conciliante e favorevole ad un dialogo aperto, basato però su una idea di auto-comprensione dello scienziato che forse è oggi minoritaria: «Gli scienziati possono proporre spiegazioni empiriche, mostrarci come raggiungere un risultato, darci fatti e dati, ma non possono in quanto scienziati offrire giudizi di valore basati sul loro lavoro, dirci se i risultati di esso siano moralmente buoni o cattivi e mostrarne le implicazioni etiche per la specie umana» (p. 12) La scienza secondo l’autore dovrebbe fondarsi su un naturalismo metodologico, mentre sovente gli scienziati debordano, sconfinando nel naturalismo metafisico, che non è scienza, ma una visione del mondo. Questa posizione la condivido, mentre trovo difficilmente sostenibile l’idea della realtà cosmica come ordine, ordine intrinsecamente buono, tradizionale nella metafisica cattolica, ma che non dà conto degli evidenti elementi di disordine e radicale sofferenza intrinseci alla natura e ai rapporti tra le specie. Sweetman infine sviluppa una vera apologia della posizione cattolica, interessante, ma non convincente in tutti i passaggi. Alcuni punti sono molto stimolanti e richiedono approfondimento. Come quando Sweetman dice che «… gli scienziati devono essere consapevoli dei pregiudizi naturalistici o secolaristici che stanno dietro a molte delle loro discipline, prendere le misure e superarli, esattamente come farebbero con i pregiudizi religiosi» (p. 252)

Penso che ognuno di noi ( e a maggior ragione gli scienziati) dovrebbe avere e condividere giudizi di valore su tutto ciò che implica ricadute importanti nella sua vita e in quella dei figli