Colui che dice “io” nel romanzo di Tahar Ben Jelloun Il libro del buio (Cette aveuglante absence de lumière, 2001, trad. italiana Y. Melaouah, Einaudi, Torino 2001) è una finzione dell’autore. Nessuno scrittore, credo, può riuscire ad identificarsi in modo convincente in un’esperienza di totale e prolungata disumanità (la detenzione dei prigionieri politici a Tazmamart in Marocco avviene in condizioni inenarrabili, più atroci di quelle di qualsiasi altro racconto, perfino della Kolyma di Šalamov – diciotto anni in una stretta cella sotterranea nel deserto al buio totale, con le guardie che attendono con ansia la morte dei prigionieri per poter tornare alla vita normale: si può immaginare qualcosa di peggio?) se non l’ha vissuta in prima persona, come Levi, Šalamov, Solženicyn, Herling, ecc.
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