La scienza del male

La scienza del male. L'empatia e le origini della crudelt�

Non so se mi irritano di più gli intellettuali e i filosofi che fanno un uso incauto e sprovveduto di quel poco che conoscono della scienza o gli scienziati che si illudono di essere in grado di fare un discorso generale sull’umano, di sostenere una tesi che eccede di gran lunga i limiti della loro disciplina. Uno di questi è Simon Baron-Cohen, autore di studi importanti e significativi su autismo e patologie psichiche, il quale scrive questo libro La scienza del male (The Science of Evil, 2011, trad. it. di G. Guerrerio, Raffaello Cortina 2012), un titolo da far tremare le vene e i polsi. Il sottotitolo L’empatia e le origini della crudeltà dice molto: secondo Baron-Cohen il male si riduce alla crudeltà, e la crudeltà è legata alla mancanza di empatia, la quale è rilevabile nel cervello con l’adeguata strumentazione. Il testo fornisce molti elementi interessanti, come i dati sperimentali che evidenziano l’esistenza di un circuito cerebrale dell’empatia (più marcata nelle femmine che nei maschi), ma è viziato dalla sua pretesa di fondo: identificare il male con la crudeltà ne restringe il campo ancora di più di quanto faccia Girard che lo identifica con la violenza, e pensare che una categoria non scientifica come quella di male possa e debba essere sostituita da una scientifica come empatia appare di una sorprendente ingenuità. A Baron-Cohen manca qualsiasi retroterra filosofico, e soprattutto una minima idea del ruolo decisivo della rappresentazione. Un solo esempio: io domenicano nell’anno 1290 potrei essere la persona più empatica del mondo, pronto a dare la mia vita per salvare una persona sconosciuta in pericolo, ma convinto (rappresentazione) che la cosa che conta è la salvezza dell’anima, potrei usare ogni mezzo per salvare l’anima di questi catari che sono nelle mie mani, anche torturandoli. Mi si torcono le budella, perché sono empatico, vedendo come soffrono sotto i tormenti, ma ordino di continuare perché la parte eterna dell’uomo è l’anima e il corpo è carne transeunte, e io questi miei fratelli traviati li voglio salvare dall’inferno. Immagino che per Baron-Cohen il mio comportamento sia un male, ma non potrà negare che in me manchi l’empatia, anche se la mia rappresentazione mentale del bene e del male mi impone di reprimerla, o meglio di indirizzarla in un modo che produce crudeltà. Dunque, pensare che il bene stia nell’empatia e il male nella sua mancanza, sic et simpliciter, e che la non scientifica categoria di male debba essere dismessa, dimostra che anche i migliori psicologi, psichiatri e neurostudiosi possono avere un’idea larvale, misera o ingenua dell’umano.

2 pensieri su “La scienza del male

  1. ciao Fabio….viene in mente il test Voigt Kampf sull’empatia in Blade Runner…poi, citando in modo lato sempre Dick ( peraltro capace di riflessioni più articolate come in Exegesis recensito sul Sole 24 ore) vi sono cose che Baron Cohen non può nemmeno immaginare…

  2. Caro prof. io non sono addentro ne alla filosofia ne alla scienza ma da semplice essere umano concordo con le tue considerazioni.
    In modo semplicistico dico che non essere empatici a volte puo’ voler dire essere indifferenti ai bisogni dell’altro ma da questo ad arrivare al male ce ne corre, anche se patologicamente può succedere ma quì entriamo nel campo della malattia mentale che è tutt’altra cosa. Probabilmente non dovevo intervenire su un argomento così specifico ma ti leggo sempre con interesse e commentando spesso mi chiarisco le ide e rifletto. Buona serata, Franca

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