La sesta stagione

La sesta stagione

Carlo Pedini è un musicista (qui un suo pezzo). Nato nel 1956, pubblica ora il suo primo romanzo, La sesta stagione (Cavallo di Ferro 2012). E che romanzo: sono quasi settecento pagine, una partitura gigantesca, una storia che si snoda dal 1934 al 1985. Ed è anche un romanzo coraggioso, perché La sesta stagione si svolge in ambiente ecclesiastico, i personaggi sono quasi tutti preti e vescovi, alcuni dei quali sono anche storicamente reali, come Lorenzo Perosi, Carlo Ragghianti o Riccardo Lombardi. I personaggi sono una folla, ma alcuni hanno un ruolo decisivo, e sono anzitutto i due vescovi che si succedono con due lunghi governi della diocesi, il primo conservatore e legato al fascismo, il secondo aperto e giovanneo; ma soprattutto due preti, don Ottavio, reazionario ma in realtà del tutto privo di fede, e don Oreste, progressista e musicista (certo vicino a Pedini stesso). La storia è quella della diocesi di Civita Turrita, un’immaginaria cittadina toscana, dal tempo del fascismo trionfante e del compromesso tra Chiesa e Regime, attraverso gli anni delle speranze conciliari e delle sucessive delusioni, in un intreccio di vicende religiose e politico-sociali che portano al riflusso e alla lunga epoca della normalizzazione wojtiliana. L’affresco dipinto da Pedini è in realtà quello della Chiesa italiana, e della sua crisi: il titolo del romanzo nasce da alcune parole attribuite a Paolo VI, «aspettavamo la primavera ed è arrivata la tempesta». Il papa si riferiva alle turbolenze che seguirono gli anni del Concilio, col Sessantotto e le contestazioni e le fratture anche all’interno della Chiesa. Se gli anni Settanta sono stati la Quinta Stagione, la Sesta è quella attuale dello svuotamento, dell’individualismo sfrenato, l’epoca in cui, come nelle ultime pagine dice don Oreste, prima delle grandi adunate giovanili, di cui il papa si compiace, nelle farmacie esplodono gli acquisti di preservativi. La Sesta Stagione è quella dell’agonia della Chiesa, che il Concilio è servito solo ad allungare e che potrà durare anche duecento anni… (p. 689). 

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